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DE DIGNITATE EUROPAE

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Nel 1988, un anno prima della caduta del regime nazionalcomunista e un anno dopo la morte del filosofo Constantin Noica, un libro di quest’ultimo intitolato De dignitate Europae usciva presso una casa editrice di Bucarest, Kriterion.


Il libro, che raccoglieva diversi saggi di filosofia della cultura già apparsi qualche anno prima su alcune riviste culturali romene, vedeva la luce in versione tedesca, perché destinato ad essere diffuso soprattutto in Germania.


In Germania, Constantin Noica c’era stato quarantacinque anni prima. In una conferenza tenuta a Berlino nel giugno del 1943, Noica aveva detto: “Noi sappiamo di essere quella che si dice ‘una cultura minore’. Sappiamo anche che ciò non significa affatto inferiorità qualitativa. La nostra cultura popolare, per quanto minore, ha realizzazioni qualitative paragonabili a quelle delle grandi culture. E sappiamo di avere, in questa cultura popolare, una continuità che le grandi culture non hanno. (…) Ma è proprio questo che oggi non ci soddisfa: che siamo stati e siamo – per quello che vi è di meglio in noi – gente di villaggio. Noi non vogliamo più essere gli eterni campagnoli della storia. Questa tensione – aggravata non solo dal fatto che ne siamo consapevoli, ma anche dalla convinzione che ‘essere consapevoli’ può rappresentare un segno di sterilità – costituisce il dramma della generazione di oggi. Economicamente e politicamente, culturalmente o spiritualmente, sentiamo che da un pezzo non possiamo più vivere in una Romania patriarcale, contadina, astorica. Non ci soddisfa più la Romania eterna: vogliamo una Romania attuale. (…)”.


Ma a questo punto a Noica si presenta un dilemma: se rimanere nell’eternità equivale a restare una cultura anonima e minore, imboccare la strada dell’“attualità”significa entrare in competizione con le grandi culture ed esserne inevitabilmente sopraffatti.


Il dilemma sembra insolubile; tuttavia è un dato di fatto che il popolo romeno sta transitando dall’eternità alla storia. Però, se entrare nella storia è inevitabile, non è inevitabile aderire ai programmi del modernismo liberale e democratico. Anzi, in alternativa sia all’opzione conservatrice sia a quella liberaldemocratica, Noica indica una terza via, quella terza via che d’altronde è implicita nelle posizioni di altri intellettuali del Novecento romeno, quali ad esempio lo storico e archeologo Vasile Pârvan, il poeta e filosofo Lucian Blaga e il Cioran della Trasfigurazione della Romania – tre autori, d’altronde, che Noica cita espressamente a sostegno della propria posizione.


Il rifiuto simultaneo del conservatorismo e del modernismo liberaldemocratico si accompagna, in Noica, ad una critica della modernità che egli continua a sviluppare ben oltre i termini cronologici della seconda guerra mondiale. È possibile farsene un’idea, se non si conosce il romeno, leggendo uno dei pochissimi saggi di questo filosofo che sono stati tradotti in italiano: le Sei malattie dello spirito contemporaneo, un libro pubblicato nel 1978 (in piena epoca Ceauses

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