L’impresa di Fiume, intrapresa novant’anni fa, non è da iscriversi alla semplice diatriba tra nazioni per il dominio di un territorio, ma rappresenta l’atto poetico-militare col quale D’Annunzio ed i suoi Legionari restituirono ai fiumani la loro dignitá.
Con la medesima chiave di lettura va interpretata tutta la questione d’Istria e Dalmazia, terre italiche che i governi postbellici, codardi e servili, abbandonarono al loro destino.Come il mare, che corrode le rive urbanizzate sino a distruggerle e reimpadronirsene, così pure, il Genio Italico corroderá la cultura imposta, reimpadronendosi di quel luogo che il Fato affidò alla Nostra Gente.
Ricordare il 12 settembre del 1919 non é solo la dovuta rimembranza del nostro irredentismo, rappresenta anche l’omaggio “maximo” a Gabriele D’Annunzio e a tutti i Legionari che caddero in nome del piú puro ideale d’Amor Patrio.
A CHI LA GLORIA?
N.B. Fu nell’entrata a Fiume che D’annunzio ripropose il grido di guerra e vittoria greco alalà, proveniente da un antico verbo comune all’intero mondo indoeuropeo presente anche nel mondo persiano. La proposta venne accettata con entusiasmo da chi accompagnava il Vate, tra cui i granatieri di Sardegna che esclamarono sì in sardo, ovvero eja. Nacque così l’immortale eja eja eja alalà.