venerdì 19 Luglio 2024

Giuliano e la Mater deorum

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Che la religione solare avesse uno stretto rapporto con il mito di Cibele e Attis e con il rituale corrispondente, lo dimostra l’esistenza di altari dedicati alla Madre degli dèi da parte di pontefici di Helios (1).

Questo rapporto è ben evidente nell’opera di Giuliano: molti elementi in comune con l’Inno al Re Helios si trovano nell’Inno alla Madre degli dèi (2), che l’Augusto scrisse a Costantinopoli in una sola notte, tra il 22 e il 25 marzo 362, ossia nel periodo dell’equinozio di primavera, quando una festa annuale riattualizzava il mito di Cibele e Attis. Variamente attestate da Erodoto, Pausania e Luciano (3), esistono di questo mito due versioni fondamentali, “che possiamo chiamare lidia e frigia dai paesi che sono teatro del mito stesso” (4); ma qui sarà opportuno riassumere il mito con le parole di Salustio: “Si dice che la Madre degli dèi, avendo visto Attis coricato presso il fiume Gallo, se ne innamorò e, preso il suo pileo adorno di stelle, glielo mise in capo, e in seguito lo tenne con sé; ma egli, innamoratosi d’una ninfa, lasciata la Madre degli dèi, si unì alla ninfa. Ed è per questo che la Madre degli dèi fa sì che Attis impazzisca e, tagliatisi i genitali, li lasci presso la ninfa, poi ritorni di nuovo a convivere con lei” (5).

Le feste della Gran Madre cominciavano alle Idi di Marzo, con la processione dei cannofori che si dirigevano al tempio di Cibele per depositarvi le canne del fiume Gallo. Seguiva poi, per alcuni giorni, un digiuno di purificazione che comportava l’astinenza dal pane, dal maiale, dal pesce e dal vino. Il 22 marzo la confraternita dei dendrofori si recava nel bosco di Cibele per abbattere il pino consacrato ad Attis; spogliato quasi completamente dei rami, avvolto in bende di lana, ornato degli oggetti pastorali di Attis (vincastro, siringa, cembali) e delle violette nate dal suo sangue, il tronco veniva trasportato nel santuario, dove era esposto alla venerazione pubblica, come un cadavere prima della sepoltura. Le manifestazioni di lutto (lamentazioni, percussione del petto ecc.) giungevano al culmine il 24 marzo (giornata del sangue). All’interno del recinto sacro venivano eseguite musiche frenetiche, danze vorticose e flagellazioni, finché, all’acme dell’estasi, aveva luogo l’autoevirazione dei sacerdoti del culto, i Galli. (Nel mondo greco-romano l’evirazione dei Galli venne sostituita da quella di un toro o di un ariete). Aveva luogo poi la sepoltura del pino, che rimaneva nei sotterranei del tempio per un anno intero, fino al taglio del nuovo pino. Al calar delle tenebre aveva inizio la veglia. Ad un certo momento, un sacerdote introduceva un lume nel santuario, ungeva le gole dei lamentatori e pronunciava queste parole: “Confidate, o iniziati: il dio è salvo; e a noi dalle pene verrà salvezza” (6). Il 25 marzo, giorno che si riteneva coincidesse con l’equinozio di primavera, si celebravano le Ilarie, festa del Sole e dell’inizio del ciclo annuale; in quel giorno avveniva la resurrezione di Attis, che rappresentava la liberazione delle anime dal ciclo della generazione. Con una processione solenne veniva esaltata la ierogamia di Cibele ed Attis: in mezzo allo strepito dei flauti, dei cembali e dei tamburini, la Gran Madre avanzava su di una quadriga con Attis al proprio fianco. Dopo un giorno di pausa e una cerimonia di purificazione, il 27 marzo le feste giungevano al termine: tra canti e danze, la dea ritornava nel suo santuario.


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