mercoledì 14 Agosto 2024

I laureati

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meno che nella media UE

Crescono ancora i giovani laureati in Italia: la percentuale di 25-34enni che hanno raggiunto l’ambito “pezzo di carta” è passata dal 29,2% del 2022 al 30,6% del 2023. Tuttavia, come segnala l’ISTAT nel rapporto “Livelli di istruzione e ritorni occupazionali”, siamo ancora lontani dalla media UE del 43,1%.
Come mai? Di sicuro gli immatricolati non mancano: da qualche tempo a questa parte sono cresciuti anche loro e, per oltre la metà dei diplomati, iscriversi all’università è una tappa quasi obbligata. Quello che forse manca è un orientamento efficace, che consenta di abbinare meglio i talenti ai corsi accademici che hanno maggiori probabilità di completare e anche di portarli a trovare lavoro in futuro. Infatti da qui in avanti ci sarà una gran fame di laureati, ma soprattutto di laureate in aerea STEM, ovvero Scienze, Tecnologie, Ingegneria, Matematica e dintorni.
Il punto di vista della rettrice
Chi meglio della prima rettrice del Politecnico di Milano, in 160 anni di storia, può dare qualche consiglio in fase di orientamento? Il portale Skuola.net ha così intervistato la professoressa Donatella Sciuto chiedendole di aiutare i diplomati, soprattutto quelli ancora indecisi, a fare la scelta giusta.

Per iniziare, che tipo di consiglio darebbe ai diplomati ancora indecisi sui criteri per impostare una scelta?
“L’indecisione ci può stare. Ai miei tempi le alternative dopo l’esame di maturità erano poche e questo, apparentemente, ci rendeva più sicuri. Oggi le possibilità sono tante e non è facile scegliere. L’importante è che l’indecisione non sia un freno o un limite a provare, a sperimentare, a sbagliare! Perché no? Io sono una ricercatrice. So che nello studio, come nella vita, si procede per tentativi ed errori. Indeciso però non significa “immobile”. Il mio consiglio è quello di non aver paura e di non temere fallimento”.
L’università, statistiche alla mano, resta l’approdo più gettonato. Ma, in Italia, tanti studenti poi mollano: come scegliere il corso di laurea più adatto?
“Il corso di laurea si sceglie secondo un principio chiarissimo: l’inclinazione personale, seguendo la propria passione. Molti, ad esempio, ritengono che entrare al Politecnico di Milano sia impossibile e così nemmeno ci provano a fare il test di ammissione. Magari sbagliando. Oppure c’è chi ancora crede che Ingegneria non sia una cosa per donne. Sono solo luoghi comuni. Se c’è passione e impegno, tutto si può fare. Io stessa durante il liceo non avevo idee chiarissime. Ho scelto la mia strada poco prima della maturità e ammetto che non ho avuto vita facile al primo anno di università. Ma, alla fine, eccomi qui”.
Ci sono anche fattori esterni che possono aiutare a selezionare bene il percorso?
“Degli ottimi suggerimenti su cosa fare possono venire da un buon orientamento. Noi spesso lavoriamo con le scuole e cerchiamo di aiutare i ragazzi. Ogni anno, poi, organizziamo l’open day (ad aprile) per dare quante più informazioni sui corsi di studio offerti dall’università e su tutte le attività disponibili, coinvolgendo anche i nostri studenti, per aiutare ragazzi e ragazze a scegliere bene”.

Quando è invece consigliabile scegliere percorsi alternativi all’università?
“Forse sono la persona sbagliata a cui chiederlo, lo dico con il sorriso. D’istinto, però, risponderei che l’università è comunque la scelta giusta. Non per contratto, ma perché ci credo. Penso che sia ancora un ascensore sociale. Così come credo che l’istruzione sia un vantaggio non solo lavorativo o economico, ma per la formazione della persona, per la sua cultura, il suo sapere, la sua voglia di conoscere. L’università è poi uno straordinario percorso di crescita e di condivisione. Alternative, comunque, ce ne sono e hanno un’impostazione più professionalizzante, come gli ITS o le Academy aziendali. Garantiscono un accesso più rapido al mondo del lavoro. Io però chiedo ai ragazzi di guardare lontano e di immaginare dove saranno tra venti o quarant’anni, non nell’immediato”.
Una laurea vale l’altra o ci sono settori su cui puntare maggiormente in ottica di occupabilità?
“Se la mettiamo sul fronte dell’occupabilità, la legge la fa il mercato. È evidente che ci sono corsi di studio che garantiscono maggiori possibilità da questo punto di vista. Da poco sono usciti gli ultimi dati occupazionali del Politecnico, che dicono che il 99% dei nostri laureati magistrali trova lavoro a un anno dal titolo. Uno su tre ancora prima ancora di terminare gli studi. Sette su dieci a tempo indeterminato. Lo stipendio medio alla prima assunzione si aggira sui duemila euro netti. Su questo non voglio essere ipocrita, le materie STEM sono richieste dal mondo del lavoro e ne abbiamo un gran bisogno, specie in Italia, dove solo uno studente su cinque sceglie questa strada”.
Storicamente le donne tendono a scegliere meno frequentemente i percorsi di area STEM: come invertire questa tendenza?
“Questa è una domanda da un milione di dollari. Ci stiamo provando in tutti i modi: attraverso campagne di comunicazione, con l’orientamento, con le borse di studio “Girls@polimi”, con i tech camp. Attenzione, però, a non generalizzare. In alcuni ambiti STEM, come ingegneria biomedica, le donne sono ormai la maggioranza, in altre discipline si avvicinano alla parità. C’è invece ancora moltissimo da fare nelle aree tradizionalmente più dure, come meccanica o elettronica, dove contiamo una ragazza ogni dieci ragazzi. Anche se poi si scopre, dati alla mano, che le donne, sebbene in minoranza, hanno spesso voti più alti e tassi di abbandono più bassi. Insomma, per tornare all’inizio dell’intervista, direi che il primo passo è quello di provare”.

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