Continua il dibattito sulla discendenza umana dai quadrumani. Un conflitto accanito fra due ideologie nostalgiche: la positivista e la biblica. Di certo c’è solo che l’ anello è sempre mancante….
Molte volte il rinvenimento di fossili che presentano qualche carattere scimmiesco e umanoide è stato salutato come la scoperta dell’anelllo mancante nella evoluzione dell’uomo dalle scimmie antropomorfe. Un vezzo risalente ai tempi di Darwin, a cui non si sottraggono le agenzie di stampa e anche persone di cultura per richiamare l’attenzione. È capitato anche per Pau (che in catalano significa «Paolo», ma anceh «Pace»), il Pierolapithecus catalaunicus, la scimmia fossile vissuta 13 milioni di anni fa, che ha preso il nome dalla località Els Hostalets de Pierola in Catalogna, oggetto di un fortunato ritrovamento segnalato nel mese scorso. Nel corso di più di un secolo l’annuncio dell’anello mancante è risuonato molte volte, dai Pitecantropi di Giava, scoperti alla fine del secolo XIX, alle forme australopitecine, al Sahelantropo di Toumai di 6 milioni di anni fa e a vari Ominoidei del Miocene, vissuti fra 14 e 6 milioni di anni fa, come l’Oreopiteco della Toscana, l’Otavipiteco della Namibia, il Morotopiteco dell’Uganda, il Keniapiteco, l’Uranopiteco della Macedonia per ricordarne soltanto alcuni.
Se si dovessero mettere insieme gli «anelli mancanti» segnalati non si formerebbe una catena tra la scimmia e l’uomo, ma tutt’al più ci troveremmo di fronte alle maglie larghe di un reticolo assai incompleto. L’idea di una evoluzione lineare è fuori dal quadro fornito dalle scoperte dei fossili. Il compito dei paleoantropologi diventa allora quello di ricostruire le genealogie dei Primati viventi e le loro connessioni fra le quali vanno individuate sia le linee che hanno portato ai Primati più vicini o meno lontani dall’uomo (le attuali antropomorfe asiatiche e africane) sia all’uomo, giacché anche le antropomorfe hanno avuto una evoluzione.
Si ammette che vi sia stata un’ultima divergenza fra la linea che ha portato alle antropomorfe africane e la linea che ha portato agli Ominidi e, nel loro ambito, all’uomo. Ma l’epoca rimane ancora difficile da stabilire. Varie scimmie del Miocene che vivevano in ambiente forestale presentano qualche tratto nello scheletro degli arti e nella colonna vertebrale che le avvicina alle antropomorfe, ma annunciano anche qualche caratteristica che si affermerà in modo più deciso con il tempo lungo una discendenza che poi porterà all’uomo. Sono chiamate Ominoidi e si sono diffuse dall’Africa in Asia e in Europa, come anche il recente rinvenimento dimostra. Ma non vengono considerate Ominidi, perché le loro strutture locomotorie sono ancora lontane dalla bipedia che si ritroverà durante il Pliocene, particolarmente negli Australopiteci dell’Africa.
La famosa australopitecina Lucy di 3,2 milioni di anni fa presenta caratteristiche avanzate per la bipedia, ma praticava pure l’arrampicamento. L’ominizzazione sarebbe incominciata molto prima in qualche attitudine al raddrizzamento del corpo riconoscibile nelle trasformazioni del bacino e della colonna vertebrale. È quello che Yves Coppens qualche anno fa segnalava proprio sulla base di studi sulle forme arcaiche di Australopiteco e che anche le osservazioni sulle vertebre lombari e sulla scapola di Pierolapiteco suggeriscono. Ma forse l’aspetto di maggiore interesse di questi ultimi reperti (che si distinguono per la loro numerosità, anche se poco rappresentato il cranio cerebrale) è costituito dal fatto che la scimmia catalana (che aveva mani piccole e dita diritte come le scimmie quadrupedi e polso flessibile come gli ominidi) viveva nella foresta. Si trattava quindi di un raddrizzamento del corpo praticato non sul terreno, come bipedia, ma per l’arrampicamento, in relazione con la vita arboricola. Forse era un preadattamento per quelle forme che poi si sarebbero affermate in ambiente aperto di savana, per il diradarsi della foresta nei periodi successivi. Come pure è interessante n