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Serve un’altra Italia

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Corsi e ricorsi storici: di fronte al Covid come negli anni quaranta

A distanza di un quarto di secolo sto rileggendo le memorie di Filippo Anfuso, l’unico diplomatico rimasto fedele a Mussolini. È sorprendente quanto nulla appaia mutato da quel tragico periodo che sfociò nell’8 settembre e nelle sue atroci conseguenze. Nessuno è cambiato, sono solo peggiorati tutti. Di fronte alla crisi del Covid i comportamenti di ognuno (italiani, tedeschi, ungheresi, ecc.) sono  gli stessi, con i medesimi difetti di allora.

Tedeschi
Partiamo dai tedeschi: sistematici alla perfezione ma rigidi in modo totale e ispiranti antipatia. Un’antipatia che si sposa con l’invidia e la gelosia perché nelle imprese comuni essi hanno sempre una marcia in più e questo pesa agli altri.
Lo squilibrio di potenza, dovuto più alla simulazione di potenza dei loro alleati che a loro stessi, e la direzione sistemica e assolutistica che le impressero costarono ai tedeschi un capitale enorme di simpatie e ingenerarono sedizioni, secessioni, rivolte, peraltro suicide perché l’esito bellico risultò nefasto a tutti i popoli che abbandonarono l’Asse.

Italiani
Veniamo a noi. Pretendevamo di vincere la guerra senza che la Germania diventasse troppo forte. E andammo in guerra con uno stato maggiore e una classe dirigente assolutamente imbelli, quando non traditori fin dall’inizio. Malgrado Mussolini, il nostro atteggiamento nei confronti dell’alleato che, scoprivamo, era più forte di noi, fu quello di chi chiede aiuti in denari, in materie prime, in forze militari, per toglierci le castagne dal fuoco dove noi le avevamo messe ad abbrustolire e su cui ci scottavamo le dita. O ci soccorri o noi ce ne andiamo e tu hai da perdere: questo il leit motiv. Lo stesso di oggi nei confronti della Ue (ma in concreto della Merkel e della von der Leyen) con la pretesa dei coronabond e del recovery fund senza condizioni.
Mentre alternavamo accattonaggio e ricatto, gli stessi che avevano insistito per entrare in guerra, il re in primis, lanciavano messaggi al nemico per un rovesciamento del fronte. E oggi abbiamo scoperto di colpo euroscettici come Romano Prodi…
Infine il colpo di reni sovranista con il proclama di Badoglio “I tedeschi hanno occupato le nostre città del Nord. Essi ci attaccano in terra, in mare e in aria, L’ora è gravissima. Soltanto le decisioni virili possono salvare l’Italia”. E intanto era fuggito.
Anfuso ci ha lasciato un quadro immortale anche dei comportamenti dell’intera classe dirigente italiana dai primi rovesci bellici fino al 25 luglio 1943: tutti congiuravano in maniera astratta e si preoccupavano soltanto di distanziarsi dalla figura di Mussolini sulla quale scaricavano le proprie responsabilità e intanto aspettavano qualcuno o qualcosa che risolvesse tutto al posto loro. Cos’è cambiato, tranne il fatto che non ci sono più le larghe spalle del Duce a proteggerci tutti, fedeli e traditori?

Italiani e Italiani
Quanto sia stomachevole una certa mentalità italiana e perché la si debba disprezzare anziché imbellettarla con le ideologie tricolori alla Toto Cotugno, è palese.
Così com’è chiaro che nella gestione economica, sociale e politica del post-Covid andiamo incontro al disastro oltre che al disonore.
Ma dobbiamo considerare l’altro lato della medaglia: quegli italiani che contro ogni marea e contro ogni vento salvarono l’onore (e con l’onore tante migliaia di vite di inermi). Un’Italia aristocratica nell’anima e popolare nel sangue, cioè quella che serve oggi più del pane. Quell’Italia in nome della quale è doveroso disprezzare quell’altra. Perché chi disprezza ama e aiuta a cambiare.

Romanità
L’Europa oggi si ritrova nelle medesime condizioni psicologiche di allora, con le stesse fragilità e le stesse difficoltà di tessitura perché la guida resta tedesca e, in quanto tedesca, rigida e assoluta.
Noi siamo invece abituati al relativismo ammiccante e furbetto, ma solo perché la nostra flessibilità mediterranea ha perso la cognizione dell’essenziale dal quale il genio e l’improvvisazione muovono per diventare valore aggiunto, senza il quale si tramutano invece in miseria umana. Serve un recupero di Romanità, per noi, per l’Europa e per la stessa Germania, altrimenti prigioniera di se stessa.
Questa qualità suprema la si riscontra, per esempio, in certa tipologia napoletana che, oltre la maschera del teatro greco e della sceneggiata, sa essere solida, stoica e tragica pur essendo  filosofica. Probabilmente la si ritrova in altre parti d’Italia.
Da qui la via per fornire a noi stessi e a tutta Europa quel perno stabile che non sia condannato all’inerzia della sua fredda meccanica.
Questa la morale di oggi e la lezione della rilettura di quegli anni tramite lo sguardo di Filippo Anfuso. Una morale e una lezione che c’inducono a proclamare: affanculo un certo sovranismo, viva l’Italia!

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