Anche in Usa che sembrano in forma
È una grana non da poco quella che potrebbe presto ritrovarsi tra le mani Donald Trump. È un paradosso dal sapore di beffa, perché l’economia degli Stati Uniti, numeri alla mano, va a gonfie vele: i dati sono positivi, il termometro segna una temperatura in perfetta salute e il presente è dorato. Eppure, la Federal Reserve Bank di New York e quella di Atlanta prevedono che la crescita economica degli Stati Uniti rallenterà e che supererà a malapena la soglia dello zero durante il quarto trimestre del 2019. In altre parole, secondo le previsioni di questi istituti, all’orizzonte si prospettano condizioni di “quasi recessione” che potrebbero manifestarsi in un momento delicatissimo, cioè proprio mentre sta per iniziare la campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali, previste per il 2020. Come fa notare Asiatimes, i modelli economici delle due banche citate – che ricordiamolo, si basano sui dati comunicati dalle agenzie governative – non promettono niente di buono. Le previsioni della Fed di New York per l’ultima parte del 2019 attestano una crescita del Pil di appena lo 0,4%, quelle della Fed di Atlanta addirittura dello 0,3%. Significa che il tasso di crescita americano, stimato essere pari all’1,9% nel terzo trimestre, potrebbe scendere di botto fino a una soglia percentuale compresa tra lo 0,3% e lo 0,4%.
Previsioni da incubo
Soltanto 18 mesi fa l’amministrazione Trump utilizzava proprio le previsioni della Fed di Atlanta come prove inconfutabili della politica economica della Casa Bianca. Nel giugno 2018 il segretario al Tesoro Usa, Steve Munchin, dichiarava entusiasta che “la Fed di Atlanta sta proiettando una crescita del pil pari al +4,7%”. Oggi le previsioni dello stesso istituto parlano di un misero +0,3% di crescita del Pil annuale. E proprio la crescita del Pil sarebbe scesa al di sotto del 2% perché le aziende avrebbero annullato numerosi piani di investimento di capitale come risposta all’incertezza latente sulle catene di approvvigionamento globali. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina non ha giovato alla salute di Washington, che molto presto potrebbe toccare con mano gli effetti nefasti delle sue tariffe velenose. In altre parole, il governo americano, a differenza della Cina, non può sperare di crescere affidandosi solo al mercato interno, perché i consumatori statunitensi sono già stati spremuti a dovere e le loro munizioni stanno per esaurirsi. Nel caso in cui Trump dovesse poi imporre un nuovo dazio del 25% su 160 miliardi di dollari di importazioni cinesi, compresa la maggior parte dell’elettronica di consumo, l’economia americana, nel 2020, potrebbe avviarsi davvero verso la recessione.
Il fardello di Trump
L’economia degli Stati Uniti ha sì generato una domanda interna sufficiente per mantenere la crescita del suo Pil vicina alla soglia del 2%. Ma i consumatori Usa sono ormai “consumati”: a loro non si può proprio chiedere di più. Le vendite al dettaglio, non a caso, sono aumentate di appena il 3% su base annua rispetto alla versione preliminare di ottobre promossa dall’Ufficio censimento Usa. L’inflazione è in aumento a un tasso annuo del 2,3% e le vendite al dettaglio crescono a un ritmo inferiore all’1%: troppo poco per spingere un sistema economica che ha tagliato i ponti con la Cina e che vorrebbe autoalimentarsi. Gli americani, spaventati da cupe aspettative, stanno risparmiando sempre di più, tanto che il tasso di risparmio personale è schizzato dal 6% del reddito disponibile al momento dell’ascesa di Trump all’attuale 8,5%. Un’altra osservazione dovrebbe far riflettere: gli investimenti restano deboli, e anzi sono diminuiti durante il terzo trimestre. Trump si trova quindi in una posizione scomoda: oggi l’economia Usa tira dritta come un treno, domani potrebbe invece deragliare. E potrebbe farlo nel bel mezzo della prossima campagna elettorale, proprio quando al tycoon servirebbero certezze sulle quali aggrapparsi per la riconferma.