venerdì 4 Ottobre 2024

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Come Savona del resto, così Bagnai e Borghi (che poi il Mes non piace neppure a noi è un altro canto)

Mentre i leader dell’Unione europea sembrano voler prendere tempo prima di definire l’intero pacchetto degli strumenti finanziari necessari per affrontare la crisi indotta dal Covid-19, vale la pena di prendere nota di alcuni consigli che il Financial Times ha inviato ai governi dell’eurozona attraverso la penna di Martin Wolf, economista capo e firma autorevole del giornale che è considerato una Bibbia del liberismo e dei mercati finanziari.
Passando in rassegna gli strumenti messi finora sul tappeto, Wolf boccia il Mes, il discusso Fondo salva Stati, prevede di difficile attuazione gli eurobond, e si dice convinto che l’euro potrà superare la crisi attuale soltanto a una condizione: la Bce dovrà continuare ad agire come se fosse una vera banca centrale con una potenza di fuoco illimitata, vale a dire perseverare nel creare denaro dal nulla e fornire tutta la liquidità necessaria a ogni membro dell’area euro, per aiutarlo a superare la crisi, senza creare debito. E guai se la Corte costituzionale tedesca, con la sentenza del prossimo 5 maggio, dovesse bocciare il Quantitative easing per via della sua grande quantità attuale. Verrebbe giù tutto.
Ecco i punti principali toccati da Martin Wolf. «Le discussioni sul Mes e sui coronabond sono solo chiacchiere. Il Mes è irrilevante. La sua potenza di fuoco è troppo piccola. Inoltre la condizionalità di questo fondo-salva stati, che saranno applicate se non ora, più tardi, quando arriveranno i rollover, rende i suoi prestiti irricevibili. E sarebbero anche divisivi, in un momento in cui è richiesta solidarietà».
Gli eurobond? «Politicamente, uno strumento finanziario comune, che piace ad alcuni Stati membri, ma è un anatema per i paesi nordici. Non si faranno. Anche se tale strumento sarebbe utile proprio alla Bce, quando vorrà vendere le montagne di titoli di debito che sta per acquistare. Altrimenti potrebbero esserci difficoltà con le montagne del debito futuro».
Wolf non dedica il minimo accenno ai prestiti Bei, né al fondo Sure per i disoccupati, che probabilmente considera nuovi debiti da rimborsare, il che non sarà facile per nessun paese nella prossima depressione economica. E prima di auspicare per la Bce un ruolo decisivo come non mai, in quanto «unica istituzione in grado di difendere l’euro nella misura necessaria», riassume con pochi dati il collasso economico prossimo venturo.
Secondo le previsioni del Fmi (Fondo monetario internazionale), il pil della zona euro si ridurrà del 7,5% quest’anno, con un pil tedesco giù del 7% e quello italiano giù del 9,1%. «Previsioni terribili, purtroppo ottimistiche», sostiene Wolf. Nel 2021 si potrebbe registrare un calo del 10% del pil dell’eurozona rispetto al 2019, e il debito pubblico di diversi paesi salirebbe alle stelle, Italia in testa.
Per questo sui mercati si parla fin d’ora di «quello che viene definito eufemisticamente ‘rischio di ridenominazione’: timori di bancarotte, crisi finanziarie, e infine persino uscita dall’eurozona. Così gli spread tra i rendimenti del debito italiano e la media della zona euro ponderata per il pil hanno iniziato ad aumentare». Il piano di acquisti della Bce per 750 miliardi lanciato da Christine Lagarde, sia pure dopo la nota gaffe iniziale con il suo «non siamo qui per chiudere lo spread», è volto proprio a scongiurare il rischio ridenominazione, vale a dire il default e la ristrutturazione del debito di qualche paese membro dell’eurozona. Ovviamente, Italia in testa. Un obiettivo che, sia pure con un linguaggio più contorto, secondo il Ft sarebbe ora condiviso anche da Isabel Schnabel, consigliera tedesca della Bce.
Ecco perché, sostiene Wolf, «la Bce è impegnata ad agire come se fosse la banca centrale nazionale di ogni paese membro. E dal momento che emette la seconda valuta di riserva più accettata nel mondo, ha la capacità di farlo». Di più: «La Bce deve fare tutto il necessario per aiutare ogni paese membro della zona euro a gestire questa crisi».
Quanto ai rischi, il capo economista del Ft ne elenca due. Sul primo, l’inflazione, scrive: «Nella situazione deflazionistica come quella attuale, una banca centrale ha una potenza di fuoco illimitata, e l’inflazione non è vincolante oggi». Il secondo: la prossima sentenza della Corte di Karlsruhe, che a maggio potrebbe dichiarare incostituzionale il programma d’acquisto della Bce di tutti i 750 miliardi. «Ciò creerebbe immediatamente una crisi politica», scrive Wolf. «La Germania uscirebbe dall’euro. Berlino avrebbe un’opzione di uscita credibile. Ma un ritorno al D-Mark creerebbe un enorme schoc economico e politico. E i tedeschi sarebbero pazzi a esercitare questa loro opzione, per quanto possano odiare la Bce. Il crollo della zona euro sarebbe una catastrofe».
Suggerimenti condivisibili, simili a quelli di Mario Draghi, che però non sembrano per nulla in sintonia con la linea del governo Conte-Gualtieri, fautori di Mes ed eurobond più di quanto lo siano per il Qe della Bce. Semmai, piaccia o meno, Wolf finisce con il dare ragione agli economisti della Lega, che però sono all’opposizione.

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