martedì 15 Ottobre 2024

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Ogni anno, la spesa per i nuovi libri di testo, che si rivelano poi spesso semplici edizioni aggiornate degli stessi volumi degli anni precedenti, da cui si distinguono solo per qualche appendice, è un salasso che angoscia tantissime famiglie, non soltanto italiane; negli States per i testi scolastici si spendono fra dagli 8 ai 15 miliardi di dollari l’anno. In mancanza di alternative, però, i genitori sono costretti ad abbozzare e mettere mano al portafogli.

Ma qualcosa sta cambiando, come testimonia anche un lungo articolo-intervista del New York Times, che ha rilanciato, nei giorni scorsi, il progetto Curriki. Nato nel 2004 con il nome di “Global Education & Learning Community (GELC)”, “Curriki”, contrazione di “curriculum” e “wiki”, è un portale educativo che si distingue da altri siti affini, perché offre materiale per interi corsi di studio. Tutti i testi, rivisti e corretti da un team di esperti, sono scaricabili e stampabili gratuitamente.

Dietro il progetto c’è l’ex amministratore delegato di Sun Microsystems, Scott Mc Nealy, rimasto senza lavoro e con parecchio tempo a disposizione ora che la compagnia che aveva contribuito a fondare è stata comprata da Oracle. L’idea di Mc Nealy è quella di prendere a prestito l’esperienza del team ricerca e sviluppo di Sun per iniettare nuova linfa in Curriki e perfezionare lo sviluppo di libri digitali e audiolibri. Il grintoso uomo d’affari, conosciuto nella Silicon Valley per i modi spicci e la brusca franchezza, punta inoltre a trovare nuovi finanziatori e a creare un sistema di monitoraggio che certifichi la bontà del materiale educativo e controlli i progressi degli studenti.

Quello di Curriki non è l’unico esperimento di editoria scolastica open-source, in America ve ne sono molti altri, che incontrano alterna fortuna. Il problema principale di chi vuole provare ad aggirare le lobby dei produttori di contenuti educativi, è quello di convincere gli insegnanti e le scuole dell’attendibilità e della qualità del materiale prodotto.

Negli Usa sono i singoli Stati che stabiliscono se un libro ha tutte le carte in regola per essere utilizzato come testo per le scuole; California e Texas sono i mercati maggiori, che tendono a fissare le linee guida anche per gli altri.

Nell’area californiana opera la fondazione no-profit CK-12, finanziata da un altro co-fondatore di Sun, Vinod Khosla, che mette a punto e distribuisce libri gratuiti e open-source in linea con le direttive dello Stato guidato da Arnold Schwarzenegger e che, a volte, si dimostrano più completi e aggiornati dei volumi “ufficiali”. I libri prodotti da CK-12 si chiamano “Flexbook”, perché possono essere integrati, riassemblati e organizzati secondo le necessità dell’istituzione educativa o del’utente. I testi possono essere inoltre facilmente condivisi via mail o attraverso i principali social network.

Un altro esperimento interessante è quello di Flat World Knowledge, un sito che mette a disposizione gratuitamente sul Web alcuni testi, per lo più matematica e scienze applicate. I libri possono essere adottati da un’insegnante, che fornisce il link per la lettura online alla classe; in alternativa, con una spesa piuttosto modica, gli alunni possono richiedere una versione stampata e rilegata dell’intero testo oppure di singoli capitoli, a due dollari l’uno.
 

La logica del tetto massimo stabilito dal Ministero che quasi nessuna classe sembra voler o poter rispettare (visti i costi dei libri in generale) non funziona. Per il semplice motivo che come ogni legge-truffa che si rispetti anche questa richiede, per divenire operativa, l’attivarsi della parte debole (i genitori che devono fare denuncia al Ministero) e non prescrive reali ed immediate sanzioni (in sostanza l’applicazione della normativa è affidata alla volontà della burocrazia governativa). 
A loro volta, per combattere le speculazioni degli editori, le associazioni consumatori raccomandano il libro usato, lo studio sul computer (tramite e-book) e addirittura l’utilizzo di un testo in comune fra più studenti.
Eppure a scuola la differenza dovrebbe farla la spiegazione in classe dell’insegnante e non il libro utilizzato dagli studenti.

Perché allora un professore che conosce la materia e che possiede i requisiti per insegnare, dovrebbe delegare ad un libro (scritto da un altro professore) la didattica che gli compete? Se è il libro a fare la differenza allora tanto vale non mandare i figli a scuola per farli restare a casa a studiare.
Va da sé quindi che il testo scolastico dovrebbe essere unico per tutti, differenziato solo in base al tipo di istituto.

La figura del professore riacquisterebbe così il prestigio che le compete (e che in passato aveva) e si porrebbe finalmente rimedio alla speculazione editoriale a danno delle famiglie.

Addio al caro libro ed introduzione di un sistema di valutazione dei professori sulla base delle capacità individuali e del merito, per una crescita continua di tutto il sistema scuola.  

Stando così le cose, però, c’è da scommettere che molti insegnanti anziché scioperare starebbero a casa a studiare per recuperare qualche debito nelle loro materie…

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