Sulla storia militare e politica dei reparti d’assalto italiani nella Prima Guerra Mondiale è da tempo calata una cortina d’imbarazzo e di infastidito silenzio.
Gli storici marxisti italiani infatti, tutti intenti ad esaltare il neutralismo socialista e le violenze del “biennio rosso”, hanno accuratamente evitato la questione. Certo gli Arditi si comportarono magnificamente su tutti i fronti ove furono impegnati, infliggendo colpi decisivi al dispositivo miltare austro-ungarico; e già questa è colpa agli occhi della storiografia della sinistra.
Se si considera poi che nel dopo guerra gli Arditi furono punta di diamante del movimento patriottico e nazionale contro la violenza social-comunista, a aprtire dall’incendio dell’ Avanti! il 15 aprile 1919 fino alla Marcia su Roma, ecco spiegata la congiura del silenzio che grava su di loro. Una brutta bestia per la storiografia marxista, l’acre ricordo di una bruciante sconfitta, da liquidare come un’accolita di bravacci e truci manigoldi al soldo della reazione. In realtà studiare la storia degli Arditi non solo significa approfondire un’importante argomento di storia militare, ma consente anche di rileggere e riesaminare sotto una luce nuova la storia dell’Italia dalla Grande Guerra all’avvento del Fascismo, e in parte del Fascismo stesso.
Gli Arditi nascono ufficialmente il 29 Luglio 1917 a Sdricca di Manzano, in Friuli, sulla riva destra del Natisone, per impulso del tenente colonnello Bassi, brillante ufficiale promosso per meriti di guerra. L’iniziativa di Bassi fu resa possibile dall’appoggio del generale Capello, comandante della 2° Armata, e del generale Grazioli, comandante della 48° Divisione, entrambi interessati a nuove tecniche d’assalto adatte a superare lo stallo della guerra di trincea. Fin dall’inizio gli Arditi non si configurarono come “truppe scelte”, quali ad esempio le Sturmtruppen austriache, cioè reparti selezionati e particolarmente addestrati ma pur tuttavia organicamente inseriti nelle unità di fanteria cui erano assegnati ed alle quali dovevano aprire la via attraverso il primo assalto. Gli Arditi furono invece “forze speciali”, nettamente distinte dalla massa della fanteria: altissimo morale ed elevato spirito di corpo, armamento particolare e speciale addestramento all’assalto e al contrattacco, con notevole autonomia tattica nella battaglia. Essi rappresentarono il tentativo di risolvere il conflitto, particolarmente difficile per le truppe italiane costrette a combattere contro un nemico in posizione dominante e fortificata, non attraverso lo sforzo della massa dei combattenti ma grazie ad un gruppo ristretto ed elitario.
Una minoranza di volontari i quali, in opposizione alla massa ormai logorata da anni di conflitto sanguinoso, dimostravano una tenace volontà di combattere e vincere.
Da un punto di vista strettamente militare, gli Arditi si differenziavano nettamente dalla fanteria per reclutamento, addestramento, organici e armamento, spirito di corpo. Anzitutto il reclutamento: su base prevalentemente volontaria, escludeva espressamente e severamente, i condannati per reati comuni, mentre era aperto a chi avesse subito condanne per reati militari lievi quali il rifiuto d’obbedienza e ritardato rientro.
L’addestramento, realistico ed intenso, s’articolava in quattro differenti
aspetti: preparazione fisica(corsa, esercizi a corpo libero sia di potenziamento sia di agilità), lotta corpo a corpo(con tecniche di lotta greco-romana, ju-jitsu, pugilato), istruzione nell’uso delle armi individuali (soprattutto scherma col pugnale e lancio della bomba a mano in corsa), esercitazioni a fuoco di gruppo(coppia, squadra, plotone, battaglione). Il ciclo di addestramento culminava nelle esercitazioni d’assalto alla “collina-tipo”, un rilievo fortificato con diverse linee di trincee, reticolati, postazioni per mitragliatrici, bunker. Sotto il fuoco reale delle mitragliatrici e dei pezzi d’artiglieria, con apparente disordine, gli Arditi si incuneavano in piccole formazioni all’interno del dispositivo difensivo, espugnandone con rapidità e ferocia i nodi: a