mercoledì 8 Maggio 2024

La cucina futurista

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Luce su un Manifesto dai contenuti moderni, poco noto alle cronache storiche, ennesima testimonianza di movimento dai tratti universali.

La prima esperienza di pranzo futuristasi ebbe nel 1931, nella Taverna Santopalato a Torino, allestita da Fillia e Nicolay Diulgheroff “come una grossa scatola cubica innestata, per un lato, in un’altra più piccina: adorna di colonne semincolori interamente luminose e di grossi occhi metallici, pur luminosi, incastrati a metà parete; fasciata, per il resto, di purissimo alluminio, dal soffitto al pavimento”, preceduta solamente dalla embrionale esperienzatenutasia Trieste nel 1910 con una cena che, si dice, salvò Giulio Onesti dal suicidio.La filosofia futurista del mangiare si esplica appieno con il “Manifesto della Cucina Futurista”, di Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato nel 1930 sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino, e raccolto poi, organicamente ampliato, grazie al fondamentale apporto di Luigi Colombo, meglio conosciuto come Fillia, due anni più tardi, nel volume “La Cucina Futurista”, edito da Sonzogno.


Dalla Premessa di “La Cucina Futurista”, Sonzogno, 1932. F. T. Marinetti:
“Contrariamente alle critiche lanciate e a quelle prevedibili, la rivoluzione culinaria futurista, illustrata in questo volume, si propone lo scopo alto nobile e utile a tutti di modificare radicalmente l’alimentazione della nostra razza, fortificandola, dinamizzandola e spiritualizzandola con nuovissime vivande in cui l’esperienza, l’intelligenza e la fantasia sostituiscano economicamente la qualità, la banalità, la ripetizione e il costo.Questa nostra cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità, sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa: essa invece vuole finalmente creare un’armonia tra il palato degli uomini e la loro vita di oggi e di domani.
Salvo le eccezioni decantate e leggendarie, gli uomini si sono nutriti finora come le formiche, i topi, i gatti e i buoi.
Nasce con noi futuristi la prima cucina umana, cioè l’arte di alimentarsi. Come tutte le arti,essa esclude il plagio ed esige l’originalità creativa.
Non a caso questa opera viene pubblicata nella crisi economica mondiale di cui appare imprecisabile lo sviluppo, ma precisabile il pericoloso panico deprimente. A questo panico noi opponiamo una cucina futurista, cioè: l’ottimismo a tavola.”


Manifesto della CucinaFuturista, pubblicato nella Gazzetta del Popolo di Torino, 28 agosto 1930. F.T. Martinetti:
Il Futurismo italiano, padre di numerosi futurismi e avanguardisti esteri, non rimane prigioniero delle vittorie mondiali ottenute “in venti anni di grandi battaglie artistiche politiche spesso consacrate col sangue” come le chiamò Benito Mussolini. Il Futurismo italiano affronta ancora l’impopolarità con un programma di rinnovamento totale della cucina.
Fra tutti i movimenti artistici letterari è il solo che abbia per essenza l’audacia temeraria. Il novecentismo pittorico e il novecentismo letterario sono in realtà due futurismi di destra moderatissimi e pratici. Attaccati alla tradizione, essi tentano prudentamente il nuovo per trarre dall’una e dall’altro il massimo vantaggio.
Contro la pastasciutta
Il Futurismo è stato definito dai filosofi “misticismo dell’azione”, da Benedetto Croce “antistoricismo”, da Graça Aranha “liberazione dal terrore estetico”, da noi “orgoglio italiano novatore”, formula di “arte-vita originale”, “religione della velocità”, “massimo sforzo dell’umanità verso la sintesi”, “igiene spirituale”, “metodo d’immancabile creazione”, “splendore geometrico veloce”, “estetica della macchina”.
Antipraticamente quindi, noi futuristi trascuriamo l’esempio e il mònito della tradizione per inventare ad ogni costo un nuovo giudicato da tutti pazzesco.
Pur

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