lunedì 7 Ottobre 2024

L’Occidente accanna Kiev

Più letti

Global clowns

Note dalla Provenza

Colored


Strettamente da copione

Si potrebbe dire che sull’Occidente pesa sempre una presunzione di delitto. Perché siamo affascinati dalla sofferenza degli altri, impregnati di martirologia, ma solo per un certo tempo. Assai breve.
Questo accade perché da alcune generazioni non c’è modo per noi di esimersi, di trarsi in disparte dai guai del mondo, la nuova bruciante contemporaneità ci lega al nostro tempo. Quando le bombe distruggono le case di Kharkiv o di Mariupol lo apprendiamo, e soprattutto lo vediamo, prima ancora che i feriti e le vittime sian tirate fuori dalle macerie.
Agli ucraini, da febbraio, nulla è stato risparmiato, guerra senza dichiarazione di guerra, bombardamenti di città inermi, saccheggi, torture, deportazioni, orrori che le generazioni europee non avevano conosciuto e che avevano garantito di non tollerare più. Tutto questo ci è venuto incontro vivo, senza che avessimo modo di difenderci da questo perenne sapere ed essere chiamati in causa.
Non vi è silenzio in cui rifugiarsi, pace da immaginare come possibile quiete. Sembravamo incatenati anche politicamente in una sorte comune agli ucraini che ci portava irresistibilmente con sé. Questo finora. Perché dire che l’indifferenza segue la fedeltà è troppo poco: le è consustanziale. Nell’impegno ferreo dell’Occidente a fianco dell’aggredito mi pare di scorgere da qualche giorno, tendendo l’orecchio, sottili crepe, prudenti distinguo che preludono a più dolorose richieste di rinuncia.
Non sono le rese e le concessioni invocate fin dai primi giorni dei cosiddetti sopravvalutati putiniani d’Occidente, categoria irrilevante e meschina. No questa volta a tentennare sono proprio coloro, come gli americani, che sembravano decisi ad andare fino in fondo, a non accettare compromessi al ribasso. Il misfatto era troppo grande per pensare al perdono. E si esigevano a parole la punizione dell’attaccabrighe Putin, l’Ucraina ricostituita nella sua integrità territoriale prima del 2014, e ricostruita con il pagamento dei danni di guerra da parte di mosca.
Tutto ha funzionato bene fino a quando l’armata russa sembrava respinta, confusa, addirittura in rotta. Gli ucraini ingenuamente hanno iniziato a annunciare la possibilità concreta di vincere da soli, di respingere il nemico oltre i vecchi confini. Nelle capitali occidentali si tiravano sospiri di sollievo. E già c’era chi come il presidente francese Macron si preoccupava di non calcare troppo la mano, che Putin non venisse «umiliato» inducendolo a mosse inconsulte.
Poi il corso della guerra è cambiato. Gli ucraini hanno iniziato a retrocedere, le province orientali pare ormai certo che cadranno a giorni nelle mani dei russi lenti ma inesorabili come la loro artiglieria nel ridurre in cenere e divellere tutte le radici. Si delinea la necessità di uno scontro prometeico che divida il globo in due fazioni. Caduto il Donbass il seguito potrebbe essere una guerra di trincea orribilmente monotona e infinita, con la necessità di armare, sfamare e far sopravvivere artificialmente l’Ucraina con i sette milioni di profughi, il grano che marcisce inutile nei silos per il blocco navale, le infrastrutture e l’economia divelte. L’incubo di un piano Marshall senza l’ipotesi della parola fine.
Ecco allora alle richieste sempre più disperate di cannoni e missili da parte degli ucraini fanno eco dibattiti bizantini sulla portata degli obici: ottanta cento o trecento chilometri? Si scopre la necessità di addestrare i serventi che offre tra la bella figura di prometterli e le conseguenze pratiche un utile rinvio di settimane, mesi. Intanto si vedrà. Si comincia a spiegare esplicitamente che, consumati i rimasugli delle vecchie munizioni sovietiche, è rischioso intaccare quelle degli eserciti occidentali.
Sorgono dubbi, improvvisi, sul fornire ordigni troppo sofisticati e moderni. Manca la certezza di poterne controllare la destinazione, in un Paese che, si ricorda, è oppresso da una mafia che sul commercio di armi ha costruito il successo commerciale e ha come clienti guerriglie opache e criminali. Agli ucraini deve essere parso strano lo sconcertante rimprovero di Biden di non aver ascoltato gli avvertimenti inviati da Washington sul fatto che i russi ormai fossero decisi ad attaccare. Come a dire che una parte di colpa del disastro cade sulla imprevidenza degli aggrediti. E qui fa capolino per Zelensky la sindrome vietnamita e afgana.
Gli americani adorano gli alleati che dimostrano di saper vincere da soli e non pesano troppo. Quelli che si affidano totalmente all’impegno americano e costano, appena possibile vengono liquidati consegnandoli con qualche ghirigoro retorico alla benevolenza del nemico. Putin non cade, entrare in guerra direttamente è una carta incerta, in fondo questo Donbass. Anche le annunciate visite ecumeniche dei leader europei devono aver fatto riflettere a Kiev come un angoloso crittogramma.
Non parlano quasi più di armi, l’unico soggetto che interessa gli ucraini. Promettono di accelerare l’interminabile e sinuoso cammino burocratico per l’adesione alla Unione che non li salva certo dalle cannonate russe. E spostano il discorso, dato ancor più preoccupante, dalla guerra alla ricostruzione: siamo disposti a finanziare generosamente la ripresa della ucraina in cenci. Quando c’è da metter mano al portafoglio sono sempre generosissimi.
Molti a Kiev cominciano a domandarsi se non siano le contropartite per convincerli a rinunciare a Donbass e Crimea sperando che Putin si accontenti e ponga fine alla guerra. Altri segni infausti arrivano sul fronte della accoglienza dei profughi. La solidarietà sotto i colpi della inflazione che stringe l’Europa si fa meno viva. Si comincia a parlare di “abusi””, di ucraini che fanno turismo sociale. I Paesi dell’Europa centrale, all’inizio generosissimi, Polonia Slovacchia Repubblica Ceca Austria, di fronte alla prospettiva di tempi lunghi, tagliano le voci più generose dell’accoglienza, trasporti gratuiti, assistenza medica a tutti, sussidi alle famiglie che ospitano ucraini.
Chiedono ormai apertamente che coloro che non intendono tornare a casa si trovino un lavoro, altrimenti dovranno accettare di passare dagli hotel ai campi per gli altri rifugiati, quelli normali che sono un problema e un fastidio.

Ultime

Abbiamo due lune

Per soli due mesi

Potrebbe interessarti anche