mercoledì 8 Maggio 2024

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Giorgio Galli a Trento con il suo libro: svelate le manovre dei servizi segreti

“Sulla vicenda del rapimento Moro non bisogna perdersi nelle nebbie delle ipotesi e dei complotti. Occorre però cercare la risposta a due domande. La prima: nell´assalto alla scorta dell´onorevole Moro vengono sparati 91 colpi, di cui 47 colpi da un´arma mai ritrovata, in mano a un tiratore scelto di grande esperienza, che si muove liberamente e uccide la scorta senza scalfire Moro. Altri 22 colpi sono sparati da una mitraglietta, in mano a un tiratore scelto di buona abilità. Invece, tutti i colpi sparati dai brigatisti vanno a vuoto. La domanda: chi era quel tiratore di grande capacità operativa militare? Seconda domanda: dove (e da chi) è stato tenuto prigioniero Moro negli ultimi giorni del rapimento? Le ricostruzioni fatte dai brigatisti in questi anni presentano un sacco di lacune e contraddizioni. Ma certo Moro non fu ucciso e trasportato nella Renault come ci hanno raccontato. Il problema è che le risposte a queste domande avrebbero effetti molto pesanti sulla politica dei nostri giorni”.
È questo il passaggio chiave della lunga conferenza tenuta l´altroieri dal professor Giorgio Galli, politologo e grande esperto degli “anni di piombo”, invitato a Trento da Asut, Arci e Altrimondi. Galli presentava il suo nuovo volume “Piombo rosso” edito da Baldini e Castoldi. Una versione aggiornata ed ampliata del suo fondamentale “Storia della lotta armata in Italia”.
Galli – che parlava nell´aula 1 di Sociologia – ha esordito con un ricordo degli anni caldi in cui insegnò a Trento: “Dal ´71 al ´73 – dice il professore – chiamato da Alberoni che cerca docenti in grado di dimostrare alla comunità trentina che sì, vogliamo la rivoluzione, ma siamo anche brave persone”. E il cartellone appeso alle sue spalle (“Aula Rostagno – ciò che non siamo più”) gli fa rimembrare quel ragazzo, leader carismatico dell´assemblea, con affetto.
Poi però Galli, incalzato dalle domande di un preparatissimo Fabrizio Franchi, entra nel vivo della questione: il groviglio maleodorante della storia della lotta armata in Italia, che puzza di servizi segreti, di politica, di accordi, di illusioni e naturalmente di vittime. Per cominciare, gli viene chiesto come mai in Italia la lotta armata duri ancora, a distanza di 30 anni. Galli individua le radici di questa anomalia soprattutto nell´instabilità della situazione politica italiana “in un certo senso, ancor oggi non stabilizzata”. E non può far a meno di ricordare che questa instabilità nutre anche le manovre dei servizi segreti. “I servizi che devono combattere le Brigate Rosse – spiega il professore – almeno fino all´arrivo di Dalla Chiesa ritengono di essere un surrogato del sistema politico debole. Lavorano in un sistema in cui un partito comunista arriva alle soglie del governo ed ha il 30 per cento dei voti. Fino agli anni Settanta vasti settori dei servizi pensano – pur divisi al loro interno – che si possa gestire una certa instabilità. Così anche quando le Br sembrano sconfitte per sempre, ed accadrà più volte, i servizi costruiscono un loro Stato nello Stato, e ritengono di essere garanti di un ordine che lo Stato non riesce a mantenere”.
Per Galli, la storia delle Br fino ai nostri giorni è intessuta del controllo dei servizi che certamente osservano le Br da vicino, vi inseriscono uomini infiltrati, in molti casi usano e pilotano le Br dall´interno. Ed è qui che i misteri del caso Moro si intrecciano alle manovre. Però riguardo al rapimento Moro, Galli non crede alla teoria del complotto. Così come non crede alle ricostruzioni del brigatista Franceschini, e nemmeno alle verità di Moretti.
Sentire Galli che parla è come consultare un´enciclopedia parlante della lotta armata. Volete una prova del ruolo dei servizi segreti nella strategia del terrore? Galli ne sciorina a decine: dalla vicenda del rapimento Sossi, quando Miceli

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