lunedì 19 Agosto 2024

Pure Ankara ci ha in pugno

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Ora anche quell’ultima roccaforte strategica è stata espugnata. “Le nostre forze stanno perlustrando la città e non c’è alcuna resistenza da parte delle milizie di Haftar dopo il loro ritiro” avvenuto nelle scorse ore, ha dichiarato Mustafa al-Majei, portavoce dell’operazione citato dall’agenzia di Ankara. “Dopo aver pattugliato Tarhuna, attiveremo la direzione della sicurezza nazionale in città, insieme ad altri servizi di sicurezza” e “in coordinamento con il ministero dell’Interno”, ha aggiunto il portavoce di Tripoli. “Dopo Tarhuna, i nostri obiettivi ora sono Sirte, al-Jufra e i pozzi petroliferi nel sud”.
La guerra, ora, si sposta verso est e verso sud, dove le milizie fedeli a Bengasi controllano larghe parti di territorio e dove sorgono installazioni petrolifere. Ma la parola negoziato, ormai, non esiste più perché ormai il progetto della coppia Sarraj-Erdogan è “annientare Haftar”. I due se lo sono ripromesso ieri durante un incontro ad Ankara, concordando anche un “ampliamento della collaborazione sul petrolio libico”. “Continueremo la nostra lotta fino all’annientamento del nemico in Libia. Non accetteremo alcun negoziato con Haftar”, ha dichiarato al-Sarraj, promettendo già a Erdogan la ricompensa per “la sua storica e coraggiosa posizione” con l’assicurazione di voler “vedere le imprese turche in Libia durante la fase di ricostruzione”. Un sostegno che Ankara si è detta pronta a rafforzare. “Abbiamo concordato di allargare il nostro campo di cooperazione. Non abbandoneremo mai i nostri fratelli libici ai golpisti e ai mercenari”, ha assicurato Erdogan, determinato ad aumentare la “collaborazione anche nel Mediterraneo orientale con esplorazioni e trivellazioni”, dopo il controverso accordo di fine 2019 sulla demarcazione dei confini marittimi, che ha scatenato le reazioni soprattutto di Cipro e Grecia ma anche di Francia, Egitto, Emirati e Ue.

Solo pochi giorni fa, la missione Onu in Libia aveva annunciato l’acco
Tripoli e Ankara, però, non la pensano assolutamente così e lo hanno detto a chiare lettere. Al-Sarraj ha ormai scelto di interagire direttamente solo con chi offre soluzioni immediate, anche se spregiudicate. E’ il caso degli scontri armati come quello dei migranti, come dimostra il memorandum appena firmato con il governo maltese. Ne dà conto Avvenire: dopo la scoperta degli accordi segreti con Tripoli, siglati tre anni fa, Malta ha deciso di uscire allo scoperto negoziando un memorandum siglato dal premier Robert Abela, fresco di archiviazione per le accuse di respingimento, e il presidente libico al-Sarraj. I due Paesi daranno insieme la caccia ai migranti nel Mediterraneo, ma con nuovi fondi Ue da destinare a Tripoli.

Il memorandum prevede la creazione di “centri di coordinamento” nel porto di Tripoli e a La Valletta che saranno operativi da luglio. Le strutture congiunte “forniranno il sostegno necessario alla lotta contro l’immigrazione clandestina in Libia e nella regione del Mediterraneo”, si legge. Inizialmente Malta finanzierà interamente l’attivazione delle centrali operative, ognuna delle quali sarà guidata da tre funzionari dei rispettivi governi. Fin da subito, però, il premier Abela si impegna a ottenere dall’Ue fondi aggiuntivi da destinare alla cosiddetta Guardia costiera libica, che verrà ulteriormente equipaggiata. Nessuna menzione si fa riguardo alla necessità di ristabilire il rispetto dei diritti umani nei campi di prigionia libici. “L’Ue ha la responsabilità di raggiungere un accordo globale con la Libia”, c’è scritto nell’accordo che, di fatto, appalta a Malta e Libia il controllo dell’intero Canale di Sicilia, ad esclusione delle ultime 12 miglia territoriali dalla costa di Lampedusa. Un altro capitolo su cui l’Italia non batte un colpo.rdo tra le parti per riprendere i colloqui del Comitato militare misto per giungere a un cessate il fuoco. Ma la forza dei droni-bombardieri Bayraktar T B2 Ucav (prodotti dal genero di Erdogan, come ricorda Likiesta) è stata più forte degli appelli al dialogo. Rispetto ad Erdogan, Putin – che pure ha inviato mezzi, armi e mercenari della compagnia privata Wagner al sostegno di Haftar – non ha voluto esercitare fino in fondo il suo peso. E così la Conferenza di Berlino di gennaio 2020 si è rivelata per quello che era: uno sforzo diplomatico armato delle migliori intenzioni, ma inutile se una delle due parti – in questo caso Tripoli/Ankara – avrebbe constatato di potercela fare da sé.

In quella Conferenza l’Italia, insieme alla Germania, cercò di ritagliarsi un ruolo, tra l’altro facendo anche dei pasticci non indifferenti: uno su tutti, l’incontro con Haftar a Palazzo Chigi che fece infuriare al-Sarraj. Ma l’autocritica sulla Libia non sembra essere di casa, né a Roma né a Berlino, i cui ministri degli Esteri si sono incontrati proprio oggi. “Il continuo afflusso di armamenti a
entrambi gli schieramenti in violazione dell’embargo deve cessare, il dialogo politico all’interno del percorso della conferenza di Berlino è l’unica opzione possibile”, ha detto il titolare della Farnesina Luigi Di Maio in conferenza stampa a Berlino con il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, parlando della Libia. “Italia e Francia sono player importantissimi”, ha aggiunto il collega Maas, che se non altro ha ammesso che “la pandemia ha reso le cose molto più difficili”. La linea, però, è la stessa: “Dobbiamo fare in modo che l’embargo alle armi venga rispettato […]. Una soluzione a livello militare non ci può essere”.

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