lunedì 19 Agosto 2024

L’Est d’Europa nella schermaglia

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Nagorno Karabakh

 

La situazione nella regione contesa del Nagorno Karabakh è sempre più complicata per le forze della repubblica non riconosciuta dell’Artsakh e per il loro sponsor, Yerevan: aumentano i villaggi che stanno venendo riconquistati dalle forze armate azere e riportati sotto la sovranità di Baku, e lo stesso primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il 3 ottobre, ha palesato per la prima volta la possibilità di chiedere l’attivazione di una forza di mantenimento della pace composta da soldati russi nel quadro del Gruppo di Minsk.
Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sul protagonismo della Turchia a fianco dell’Azerbaigian, manifestatosi sotto forma di invio di armamenti, di forze irregolari e di strateghi militari per offrire consulenza, e che è da inquadrare nel contesto del paragrafo panturco dell’agenda estera di Recep Tayyip Erdogan, vi sono altri giocatori coinvolti a vario modo nel conflitto: le potenze dei Balcani e dell’Europa orientale.

Il ruolo della Serbia
La notizia è passata inosservata, pur essendo di fondamentale importanza per delineare il quadro degli schieramenti che stanno formandosi nel conflitto azero-armeno: il 29 settembre, al termine della battaglia per la riconquista del distretto di Fuzuli, un territorio de iure azero ma de facto dell’Artsakh, le forze armate di Baku hanno ritrovato degli armamenti di fabbricazione serba sul teatro degli scontri.
Le armi in questione, che sono state raccolte e fotografate, sono dei razzi a lungo raggio G-2000 co-prodotti dalla Krusik e dalla EDePro, due nomi di punti dell’industria bellica di Belgrado. Il portale di giornalismo investigativo Balkan Insight ha ricostruito il lungo viaggio che ha consentito a questi razzi di giungere il Nagorno Karabakh, scoprendo un traffico che coinvolge la Vecture Trans del potente mercante di armi Slobodan Tesic.
Si tratta di una compagnia privata serba che il 9 dicembre 2019 è stata inserita dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nella lista nera delle entità sanzionate da Washington, in quanto trovata a trafficare ripetutamente armi, munizioni e tecnologia militare verso Paesi colpiti da embarghi internazionali sulla vendita di armi, come la Liberia. Per concludere tali transazioni con successo ed evitare di incorrere in sanzioni, Tesic, che nel documento viene descritto come “uno dei più grandi mercanti di armi e munizioni nei Balcani”, avrebbe costruito una rete internazionale basata su organizzazioni di copertura, alcune con sede a Cipro, come la Moonstorm Enterprises LTD e la Tardigrade Limited, e altre persino a Hong Kong, come la Business Diversity Limited.
La Serbia avrebbe appaltato a Tesic il compito rischioso di rifornire l’Armenia di armamenti, via Moldavia e Georgia, per un motivo molto semplice: evitare una crisi con l’Azerbaigian, con cui essa è legata da un partenariato strategico. Il traffico nascosto di Tasic, però, è stato scoperto: una prima volta a luglio, in occasione delle schermaglie azero-armene nel Tovuz, e una seconda volta il 29 settembre.
Il primo ritrovamento aveva avuto delle gravi ricadute sui rapporti bilaterali tra Belgrado e Baku, come palesato dall’intervento dello stesso presidente azero, e la nuova scoperta non potrà che condurre ad un ulteriore raffreddamento, essendo il segno che, al di là del partenariato strategico in piedi con gli azeri, i serbi stanno supportando indirettamente il separatismo nel Nagorno Karabakh vendendo armi a Yerevan.
Il modo in cui i media azeri stanno coprendo la notizia è indicativo del clima aleggiante nel Paese e del modo in cui la situazione potrebbe evolvere nel dopoguerra. Azeri Defense, il portale che ha svelato il ritrovamento del 29 settembre, scrive: “Alla vigilia dei combattimenti nel Tovuz, a luglio, era emersa la questione della vendita di armi della Serba all’Armenia. Un funzionario di Belgrado, confermando il fatto, aveva ammesso che una compagnia privata ha esportato in Armenia diversi milioni di dollari di mortai e munizioni. Questi missili, lanciati contro Horadiz, sono la dimostrazione che la Serbia non è sincera e, infatti, sta esportando in Armenia dei sistemi d’arma più avanzati”.
Ma la parte più eloquente dell’articolo di Azeri Defense, e che dovrebbe allarmare Belgrado, è indubbiamente il passaggio finale: “Resta da vedere se queste armi siano state trasferite all’Armenia oppure direttamente al regime separatista del Nagorno-Karabakh”.

Gli altri attori coinvolti
La Serbia non è l’unico giocatore dei Balcani e dell’Europa centro-orientale ad avere un interesse ad intervenire nella guerra azero-armena.
L’Ungheria, la cui agenda estera è guidata dall’esigenza di espandere la propria influenza nel mondo turcico in conformità con la visione turanica di Fidesz, ha aperto il fronte diplomatico all’interno dell’Unione Europea in favore dell’Azerbaigian, ponendosi agli antipodi della Francia di Emmanuel Macron.
L’Ucraina, esattamente come l’Ungheria, ha manifestato solidarietà e supporto al governo azero e la parlamentare Liudmyla Marchenko, appartenente a Servo del Popolo (Слуга народу), il partito dell’attuale presidente Volodymyr Zelensky, ha anche auspicato la fornitura di assistenza militare all’Azerbaigian nel caso si rendesse necessario.
Vi è poi la Bulgaria che, pur essendo legata alla Turchia da un rapporto complicato per via delle ambizioni neo-ottomane di Erdogan che ne minacciano la sicurezza nazionale e l’integrità territoriale, starebbe giocando un ruolo di primo piano, ossia di sostegno diretto e concreto ad uno dei belligeranti. Nei giorni precedenti all’inizio delle ostilità, infatti, sono stati segnalati diversi voli-cargo in partenza da Sofia e diretti a Baku. Non è dato sapere quale fosse la natura del contenuto ivi trasportato, ma forte è il sospetto che possano essere trasportate armi e munizioni.
E vi è, infine, la Grecia, che è legata all’Armenia da un sodalizio di lunga data e con la quale ha approfondito ulteriormente il dialogo negli ultimi mesi in funzione antiturca. Quel legame, che viene vissuto intensamente sia a livello di collaborazione politica che di solidarietà tra i due popoli, secondo informazioni raccolte dal Greek City Times, avrebbe portato sul campo di battaglia almeno ottanta combattenti volontari, sia armeni che greci, e a centinaia sarebbero in procinto di partire.

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