lunedì 19 Agosto 2024

In piazza perché no?

Più letti

Global clowns

Note dalla Provenza

Colored


Ma deve avere un senso e non essere una semplce gesticolazione, Come a Gijon

In piazza a Gijon per un atto politico. Davanti alla statua di Don Pelayo che 1300 anni fa dalle Asturie intraprese la Reconquista con la vittoria di Covadonga.
Anno interessante questo 22, che segna anche il centenario della Marcia e quello della nascita di Jean Thiriart, nonché il sessantennale dei Protocolli di Venezia quando le componenti neofasciste di vari Paesi, Msi incluso nonché padrone di casa, lanciarono il manifesto dell’Europa Nazione.

Cara al sol
In piazza con la bandiera dei Lanzichenecchi d’Europa, in prima linea, al centro, davanti alla statua come per riceverne la benedizione.
In piazza durante un comizio mediante il quale gli organizzatori spiegavano alla cittadinanza di questa città portuale e di tradizione comunista come s’intende la Reconquista oggi: ovvero il recupero della dignità, dell’autonomia e della coscienza e una serie di iniziative sociali, già ampiamente avviate nella contigua Cantabria, per uscire dal torpore.
Se ormai la piazza non ha quasi più senso, in certe occasioni ci vado volentieri. Basta che non siano autocelebrazioni, che non sia narcisismo, che non sia lamentela e che non sia ghetto.
Che non sia neppure l’obbligatorio e stanco esercizio delle tribù politiche per dimostrare a se stesse e agli altri che stanno facendo qualcosa. Protestare, lamentarsi ed esporre slogan “antagonisti” però non è fare e questo a prescindere dagli slogan che spesso sono addirittura arretrati rispetto alla maturazione effettiva dei rispettivi movimenti e quindi imbarazzanti.

Se tutto è sano
In piazza quando si cattura l’attenzione della gente, quando i giornalisti ti ascoltano e dialogano con te perché si rendono conto che non sei un ghettizzato pazzo, in piazza quando lo starci appartiene a un insieme di cose e non è fine a se stesso. Quando è legato all’apertura di un’attività sociale e culturale, quando coinvolge, quando è seguito da riflessioni, formazione e programmazione di atti pratici. Com’è stato il caso a Gijon.
Quando le cose funzionano così, quando la partecipazione è autentica e la mentalità gerarchica e disciplinata, chi ci va non sta lì per atteggiamento aspettando che tutto finisca per scambiarsi foto e selfie e andare a ubriacarsi. Quando le cose funzionano così, accade che ci siano persone di tutte le età, anche un bel numero di minorenni. Quando parli alla gente c’è sempre una cartina di tornasole: sono gli sguardi. Se sono stanchi, se non sono vivi vuol dire che si stanno annoiando, che non seguono, probabilmente per colpa tua. Quando non solo sono intensi ma brillano realmente non significa che tu abbia compiuto chissà quale miracolo ma che la loro predisposizione è sana, che la formazione basilare è stata retta e corretta.
È quanto di meglio porto con me dall’esperienza asturiana che, anche per questo e non solo per questo, ha dato grande soddisfazione a tutto quello che la fratria dei Lanzichenecchi e tutto il suo firmamento metapolitico hanno finora proposto evidentemente non invano.

Teoria e rivoluzione
In piazza si può quindi andare, a patto di strappare quel momento dalla logica ormai schiacciante che è propria alla società dell’avanspettacolo; purché non si cada nell’autoesaltazione di quelli che  rispondono alle riflessioni critiche che potrebbero farli crescere, affermando “io vado in piazza” con un tono così esaltato e perentorio che sembra dicano “io sono passato alla lotta armata” o “io sì che affronto le spranghe del nemico”. In piazza si può, e dico si può, andare ma deve avere un senso e non rappresentare la vetrina di un gioco di ruolo. Sovente, per pura ignoranza, alcuni tendono a contrapporre questo andare in piazza, immaginato come chissà quale prova iniziatica o guerriera, alle analisi e alle proposte per una politica efficace. C’è la contrapposizione, molto stupida, tra azione e teoria. Non soltanto lo stare in piazza raramente è azione, tutt’al più è propaganda spicciola, ma quella pretesa opposizione è ridicola perché se è vero che spesso i teorici non sono rivoluzionari è anche vero che tutti i rivoluzionari sono anche teorici e che la teoria – non le masturbazioni narcisistiche dei filosofi da salotto – serve alla pratica che altrimenti è routine in trance, più deleteria che positiva.
Se tutto questo è chiaro si può – anche – andare in piazza e non per finirla lì.
Ma si deve maturare. Il cammino è lungo, comunque negli ultimi tempi ho potuto notare che è stato intrapreso in più di una landa.
Passi sicuri, passi pesanti e lenti.
Non tutto è vano.

Ultime

A che punto è la guerra?

La complicità-rivale sistemica russoamericana alla prova delle scadenze elettorali

Potrebbe interessarti anche