lunedì 14 Ottobre 2024

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Come “liberatori” e partigiani si vendicarono dell’azione creatrice


Il 6 luglio 1944 gli stabilimenti siderurgici di Dalmine in provincia di Bergamo, furono colpiti da un attacco areo da parte delle forze alleate, che arrecò gravi danni alla fabbrica e provocò numerose vittime tra operai, impiegati e popolazione (278 morti, 800 feriti).
Guardando le vecchie foto ed ascoltando le testimonianze dell’epoca c’è ben da rendersi conto quale fu la tragedia morale e materiale dei dalminesi e quanto poi negl’anni a seguire l’episodo venne caricato di significati controversi, quasi giustificativi nei confronti dei “liberatori”(la fabbrica era un centro di produzione bellica).Ma sempre guardando le vecchie foto, che riportano immagini del dopo bombardamento, mi sono accorto di un monumento antistante all’ingresso della
fabbrica, un grosso parallelepipedo di marmo, un lastrone diciamo, che riportava alcuni passi di un discorso di Mussolini, lastrone che ora non esiste più e che pensavo andato distrutto proprio ad opera delle bombe inglesi. Ho cercato notizie, vedendo dalle foto essere ancora in piedi dopo l’attacco, e ho scoperto che invece era stato distrutto all’indomani del 25 aprile, per opera dei realizzatori del nuovo corso dell’italia democratica e naturalmente antifascista.
Il discorso riportato  pensavo fosse  uno dei  discorsi del ventennio,che so “la fondazione dell’Impero” o qualche altro del genere; ma quelle parole nel marmo riguardavano invece un intervento che Mussolini fece  il 20 marzo del 1919 quando il futuro Duce raggiunse Dalmine dalla vicina Milano, attratto dalla vicenda di uno sciopero e occupazione da parte delle maestranze della fabbrica, finito in un paio di giorni con lo sgombero messo in atto dai regi carabinieri, degli  occupanti.
Il partrocinio di quell’azione sindacale era dell’ Usi, un sindacato che aveva fatto proprie posizioni nazionaliste ma che aveva origini anarco-rivoluzionarie, e che vedeva nelle rivendicazioni degl’operai dalminesi la possibilità di battere la concorrenza  dei sindacati rossi (Cgl) non ancora radicati in quella zona. Mussolini valutò interessante quell’azione; dal punto di vista tattico vedeva in quello sciopero la stessa potenzialità di un azione popolare in grado di essere autonoma dalle forze del  socialismo e di creare al tempo nuovi metodi e nuovi soggetti rivoluzionari:”Voi vi siete messi sul terreno della classe ma non avete dimenticata la Nazione” diceva in un passo del discorso. Il fatto che a Dalmine i lavoratori si fossero impadroniti dello stabilimento senza portare danno ai macchinari, proseguendo la produzione, esponendo il Tricolore sintetizzava in una singola iniziativa la possibilita di riunire “Rivoluzione e Nazione”. Si concretizzava così la possibilità di realizzare una terza  via, alternativa al socialismo e al liberismo, ovvero la produzione controllata dal basso ma non nel nome di un interesse di classe. Due giorni dopo Mussolini a Milano in piazza S.Sepolcro avrebbe fondato i Fasci di combattimento.
Quella “azione creatrice” o sciopero creativo come venne definito, fu ricordato su quella lastra di marmo di Dalmine, piccolo prologo, significativo, della nascita del Fascismo; lastra andata persa dall’azione distruttice dei fondatori della futura  democrazia, paradigma questo degl’anni che dovevano seguire.

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