sabato 27 Luglio 2024

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La possibilità, sino ad oggi solo ventilata nei corridoi della diplomazia, che gli Stati Uniti possano vendere i caccia di quinta generazione F-35 agli Emirati Arabi Uniti si sta concretizzando sempre di più. Nelle ultime ore il Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere, attraverso una nota del suo segretario, Mike Pompeo, che il dicastero ha formalmente notificato al Congresso l’intenzione di autorizzare la vendita dei nuovi cacciabombardieri della Lockheed-Martin al piccolo Stato arabo che si affaccia sul Golfo Persico.
I velivoli fanno parte di un accordo più grande, del valore complessivo di 23,37 miliardi di dollari, che prevede anche la consegna di Uav tipo Mq-9B Reaper e un pacchetto di missili e munizionamento vario aria-aria e aria-terra parecchio consistente.
In dettaglio i Reaper potrebbero essere 18, venduti con relativi sistemi radar e di puntamento, insieme a 515 missili Agm-114R Hellfire e altri dispositivi per il munizionamento di caduta (nella fattispecie per le bombe Gbu-12 e Gbu-58) per un valore complessivo di 2,97 miliardi di dollari.
Il pacchetto numericamente più sostanzioso è quello rappresentato dal munizionamento: esso comprende, infatti, 802 missili Aim-120C8 Amraam, 2004 bombe da 500 libbre tipo Mk-82, 1000 tipo Mk-84 da 2000 libbre, altre 1002 Mk-83 da 1000 libbre, 2500 Small Diameter Bomb Increment 1 (SDB-1) anche note come Gbu-39/B e 2000 Kmu-572 Joint Direct Attack Munition (Jdam). Complessivamente il controvalore di questi armamenti sarebbe pari a 10 miliardi di dollari.
Il pacchetto più remunerativo, però, è quello rappresentato dai caccia F-35: il valore del possibile contratto è pari a 10,4 miliardi di dollari per 50 velivoli, 54 motori Pratt&Whitney F-135 e i relativi sistemi elettronici, di comando e controllo, che servono per operare coi caccia di quinta generazione, quindi ivi compresi i software Algs (Autonomic Logistics Global Support System) e Odin (Operational Data Integrated Network). Questa proposta di vendita, come si legge sul sito della Dsca (Defense Security Cooperation Agency), “sosterrà la politica estera e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti contribuendo a migliorare la sicurezza di un importante partner regionale. Gli Emirati Arabi Uniti sono stati e continuano ad essere un partner fondamentale degli Stati Uniti per la stabilità politica e il progresso economico in Medio Oriente”.

La possibile vendita degli F-35 agli Emirati Arabi Uniti, oltre a fornire una credibile capacità di difesa per scoraggiare eventuali aggressioni, garantirà la capacità di interoperabilità con le forze statunitensi. Per la prima volta da quando gli F-35 sono stati commercializzati all’estero, sul sito dell’agenzia governativa che si occupa della vendita di armamenti made in Usa si legge che tale decisione “rappresenta un aumento significativo delle capacità (del contraente Ndr) e altererà l’equilibrio militare regionale”.
Nella nota del segretario di Stato si legge che “lo storico accordo degli Emirati Arabi Uniti per normalizzare le relazioni con Israele in base agli Accordi di Abramo offre un’opportunità unica nella vita per trasformare positivamente il panorama strategico della regione. I nostri avversari, specialmente l’Iran, lo sanno e non si fermeranno davanti a nulla per interrompere questo successo condiviso. La vendita proposta renderà gli Emirati Arabi Uniti ancora più capaci e interoperabili con i partner statunitensi in un modo pienamente coerente con l’impegno di lunga data dell’America per garantire il vantaggio militare qualitativo di Israele”.
L’ostacolo, per Dubai, sulla strada che conduce agli F-35 è proprio rappresentato da Tel Aviv. Israele si è sempre opposta a questa possibilità, temendo che il suo vantaggio tattico dato dal superiore livello tecnologico delle sue Forze Armate, e nella fattispecie dell’Aeronautica che ha in servizio gli F-35I Adir (che per alcune modifiche si potrebbero anche considerare una variante dei Lightning II), venisse azzerato qualora un qualsiasi Paese arabo alleato degli Stati Uniti si vedesse consegnare i nuovi caccia di quinta generazione.
Da questo punto di vista le parole di Pompeo risultano quasi sibilline: qual è la contropartita che Washington offrirà a Tel Aviv per farle digerire questa decisione e quindi mantenere “l’impegno di lunga data dell’America” di mantenere la superiorità degli armamenti israeliani?
Una possibilità, che è stata sollevate nelle ultime settimane, è quella rappresentata dalla cessione dei caccia F-22 Raptor. Lo scorso 27 ottobre, su Haaretz, si leggeva che funzionari della Difesa israeliana avevano confermato che Israele aveva chiesto ad alti funzionari americani di considerare la rimozione degli ostacoli per la vendita di caccia F-22 all’aviazione israeliana per preservare la sua superiorità aerea proprio in seguito al possibile accordo degli Stati Uniti di vendere gli F-35 agli Eau. Da quello che sappiamo, però, non c’è nessun tipo di proposta “sul tavolo” per il momento, sebbene Tel Aviv abbia dimostrato forte interesse per il caccia da superiorità aerea americano, il primo vero velivolo stealth di questo tipo ad essere entrato in servizio.

Il problema, però, è solo uno: l’F-22 Raptor non è più in produzione. La linea è stata infatti chiusa nel 2011 dopo che ne erano stati prodotti 195 di cui 186 operativi, rispetto al numero originariamente preventivato di 648. Le motivazioni di questa scelta risiedono principalmente nella politica del tempo che, con non poca miopia, non vedeva l’utilità di un velivolo simile a fronte della tipologia delle minacce internazionali allora esistenti, pertanto ora l’Usaf si ritrova con pochi velivoli di questo tipo e non si capisce perché dovrebbe privarsene a favore di un alleato, se pur importante, come Israele.
Riaprire la linea di produzione non è una scelta percorribile perché richiederebbe investimenti che potrebbero essere impiegati in programmi più moderni, quindi sembra che Tel Aviv dovrà chiedere qualcos’altro a Washington. Una soluzione che permetta di recuperare il vantaggio tecnologico, per il momento, ancora non c’è, in attesa che vengano messi in produzione i caccia di sesta generazione, che già si intravedono all’orizzonte. Il compromesso, che però non darebbe la superiorità aerea offensiva a Israele, sarebbe quella di implementare il suo sistema missilistico difensivo integrando Iron Dome con altri sistemi più a lungo raggio, ad esempio il Thaad, che sino ad oggi è stato dispiegato dagli Stati Uniti solo in via temporanea.
Ricordiamo una volta di più che si tratta solo, per il momento, di un’ipotesi, quella della vendita degli F-35 agli Eau: la comparsa della proposta sul sito della Dsca, come vi abbiamo raccontato per il caso svizzero, è solo una mossa burocratica per snellire le procedure di vendita in caso si dovesse proseguire nell’acquisto; una sorta di nulla osta preventivo da parte del governo statunitense.

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