mercoledì 21 Agosto 2024

Vai in prigione senza passare dal via

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Google ti farà carcerare se riterrà che potrai pensare qualcosa di sbagliato

 

Google, un “Minority Report” per l’email: previene i reati e anticipa il diritto all’oblio Mountain View vuole brevettare un algoritmo in grado di interpretare il pensiero dell’utente mentre viene digitato dentro Gmail, per bloccarne la diffusione in caso di infrazione di leggi o in caso il sistema presumesse degli elementi di pericolo di quanto scritto. Un sistema che potrebbe rivelarsi uno strumento utile ma anche un’arma a doppio taglio.

google, privacy, social LE PAROLE magiche sono tre: Policy Violation Checker, controllo di violazione della policy. Un trittico che potrebbe trasformare il cervello elettronico di Google in un controllore senza tregua di tutto quello che l’utente scrive all’interno di Gmail. Come un correttore ortografico, ma stavolta per i pensieri. Un’innovazione a cui Google sta lavorando, pronta per il brevetto e dai risvolti potenzialmente inquietanti: una sorta di unità di autocensura digitale per evitare di scrivere cose di cui ci si potrebbe pentire. E per le quali un giorno potrebbe servire una funzionalità per garantire la rimozione dal web di quanto rimane impresso per sempre. Una sorta di diritto all’oblio per i contenuti pubblicati in Rete. Un l’argomento affrontato negli anni passati dal presidente di Google Eric Schmidt, che pensa a dotare Big G di uno strumento di “correzione del passato”.

In questo caso però l’oblio sarebbe preventivo. Il Policy Violation Checker si occuperebbe, come in “Minority Report”, di acchiappare il criminale prima che commetta il crimine. In questo caso, il criminale sarebbe il pensiero. In dettaglio, il pensiero dell’utente intenzionato a scrivere una determinata frase. Fatta di parole potenzialmente pericolose, che l’algoritmo sarebbe pronto a bloccare prima che lo (sprovveduto?) utente prema il tasto “Invia”. Proteggendolo dall’infrangere leggi o dal compromettere rapporti.

Quella del Policy Violation Checker è un’idea che già diversi osservatori del web vedono come un’inversione a U nel paradigma di Google, quel “Don’t be evil”, non essere cattivo. Uno strumento che potrebbe essere certamente molto utile per frenare la “lingua digitale” nei momenti in cui non ci si controlla facilmente. Ma anche un sistema assistito di ragionamento, una cintura di sicurezza per l’espressione, legittima per carità, ma che se mai entrasse in funzione dovrebbe essere resa quantomeno opzionale. Da Google dicono che un brevetto non porta necessariamente all’adozione dell’algoritmo nei prodotti: “Depositiamo domande di brevetto per un’ampia varietà di idee che i nostri dipendenti elaborano. Alcune di queste idee nel tempo si trasformano effettivamente in prodotti e servizi, altre no. Non necessariamente è corretto dedurre dalle nostre domande di brevetto l’idea che potremmo in futuro lanciare un prodotto”, scrive Big G.

Certamente in caso di adozione, se la tecnologia fosse applicabile per gradi, selezionabile dall’utente e magari offrisse il dettaglio del perché viene applicata la censura, si potrebbe rivelare uno strumento in più per Google, anche educativo. Ma se dovesse calare dall’alto come censura preventiva, il web sarebbe pronto a rispedirla a Mountain View.  

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