lunedì 1 Luglio 2024

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Non lasceranno l’Iraq

 

Il futuro della missione statunitense in Iraq è stato al centro dell’incontro tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il suo omologo iracheno, Barham Salih. Si tratta del primo meeting tra i due capi di Stato dall’uccisione del generale iraniano, Qassem Soleimani (3 gennaio).
Tra le questioni discusse durante il bilaterale – che si è tenuto mercoledì scorso (22 gennaio) a margine del Forum economico mondiale di Davos -, c’è stata “la riduzione delle truppe statunitensi e il rispetto delle richieste avanzate dal popolo iracheno, mirate a preservare la sovranità nazionale”.
Trump e Salih hanno concordato il proseguo della partnership economica e militare tra Stati Uniti e Iraq, “inclusa la lotta allo Stato islamico“. Secondo il comunicato della Casa Bianca, “il presidente Trump ha ribadito l’impegno costante degli Stati Uniti per un Iraq sovrano, stabile e prospero”.

Una partnership a rischio
I rapporti tra Washington e Baghdad si sono fortemente incrinati all’inizio di gennaio, a causa di quella che il Parlamento iracheno ha definito una “violazione della sovranità nazionale” da parte di Washington. Tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, infatti, gli Stati Uniti hanno lanciato una serie di raid contro obiettivi iraniani in territorio iracheno, culminati nella nota uccisione di Soleimani.
La risposta dell’Iraq è stata dura. Il 5 gennaio il Parlamento iracheno si è riunito per decretare l’espulsione di tutte le forze straniere di stanza nel Paese, incluse le circa 5.200 truppe statunitensi. Una decisione non vincolante, alla quale, tuttavia, è seguita la convocazione del segretario di Stato americano, Mike Pompeo, da parte del primo ministro iracheno, Adel Abdul Mahdi, per concordare il ritiro dei soldati statunitensi dall’Iraq.
La richiesta è stata immediatamente respinta da Washington, che ha minacciato l’imposizione di nuove sanzioni a Baghdad, qualora si fosse opposto alla presenza americana nel Paese. I toni si sono raffreddati soltanto pochi giorni fa (15 gennaio), in concomitanza con la ripresa di alcune attività previste dalla missione americana in Iraq – interrotte il 5 gennaio -, tra le quali le operazioni contro lo Stato islamico.
Con il passare dei giorni, anche il governo iracheno si è mostrato più conciliante. La decisione di espellere le truppe statunitensi dal Paese, infatti, avrebbe comportato l’annullamento degli accordi conclusi tra Stati Uniti e Iraq e, dunque, la rinuncia ai programmi di addestramento e assistenza forniti da Washington nella lotta contro lo Stato Islamico.

La minaccia comune
Proprio il persistere della minaccia dello Stato Islamico nella regione avrebbe spinto gli Stati Uniti e l’Iraq a superare le divergenze, rinnovando la collaborazione bilaterale. Pur indebolito dalle recenti sconfitte, infatti, l’Is si sarebbe già riorganizzato nella Siria sud-orientale e nell’Iraq occidentale e sarebbe pronto a sfruttare strategicamente il ritiro delle truppe americane per tornare alla ribalta, guadagnando terreno e ampliando il proprio seguito.
“L’Iraq è in debito con la coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, per il sostegno economico e militare che continua a fornire nella lotta contro lo Stato Islamico” – ha dichiarato Salih in riferimento all’incontro con Trump – “La decisione del Parlamento iracheno di espellere le truppe statunitensi non è stato un segno di inimicizia, ma soltanto una reazione a quello che gli iracheni hanno visto come una violazione della sovranità nazionale, da affrontare con il dialogo”.

Tra Iran e Stati Uniti
L’Iraq si trova al centro degli interessi strategici di Iran e Stati Uniti. Intrattenendo importanti relazioni militari ed economiche con entrambi i Paesi, Baghdad appare sempre più in bilico tra le due parti. Gli ultimi accadimenti, infatti, hanno reso il lavoro di Baghdad ancora più arduo. Alle continue proteste popolari che chiedono, tra le altre cose, la fine dell’ingerenza straniera nel Paese, si sono recentemente aggiunte rappresaglie tra Teheran e Washington all’interno del territorio iracheno.
Le pressioni da entrambe le parti sembrano non voler terminare. Non appena chiariti i contrasti con Trump, le milizie sciite – sostenute da Teheran – si sono scagliate contro il presidente iracheno, accusandolo di aver “mancato di rispetto” al suo Paese e chiedendone le dimissioni.
D’altra parte, anche gli Stati Uniti sembrano voler approfittare della pace ritrovata per rafforzare la loro presenza in Iraq. Washington ha ventilato l’ipotesi di un’espansione della missione Nato in Iraq e dello schieramento del sistema di difesa aerea Patriot nel Paese mediorientale.

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