lunedì 1 Luglio 2024

Eccellenza Nucleare Italiana

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Un rilancio più che possibile

Il tema del rilancio del nucleare in Italia è sicuramente di pubblico dominio dopo la nascita del governo Meloni in cui, per la prima volta dalla fine dell’ultimo esecutivo di Silvio Berlusconi, sono presenti solo formazioni dichiaratamente favorevoli a riattivare la ricerca sui reattori nel nostro Paese. Di più, è importante anche il fatto che dall’opposizione Carlo Calenda e la coalizione Azione-Italia Viva abbiano aperto al tema.

Il romanzo del nucleare italiano
Tra il 1964 e il 1990 in Italia sono state attive quattro centrali nucleari, oggi tutte in fase di smantellamento (decommissioning) ad opera di Sogin, società in-house del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dopo il referendum del 1987: Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). La scelta del governo Berlusconi IV di tornare al nucleare fu invertito dai voti al referendum del 2011 che confermarono quello del 1987.
Nel 1979 l’allora Comitato nazionale per l’energia nucleare (Cnen), che nel 1982 è diventato Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), ha indicato che potenzialmente altre dieci aree sarebbero state interessabili da impianti nucleari nel resto d’Italia. Questo ha portato all’equivoco dell’Alleanza Verdi-Sinistra che in campagna elettorale ha parlato di “quattordici centrali” che il governo nascente avrebbe voluto far costruire.
Ad oggi il nucleare è solo un’ipotesi, chiaramente, e non sarà nei primi piani dell’esecutivo. Ma qualora Roma volesse tornare a costruire un’industria nucleare interna potrebbe scommettere sul fatto che la base di partenza è importante sotto diversi fronti.

Un settore ancora forte
In primo luogo, esistono tuttora in operatività quattro dei diciotto reattori sperimentali attivi in Italia negli Anni Settanta. Il Triga RC-1 romano dell’Enea, riattivato nel 2010 dopo ventitré anni di stop, ha 1 MW di potenza ed è il più importannte; seguono il TRIGA LENA da 250 kW dell’Università di Pavia (operativo dal 1965), il Tapiro di Casaccia, sempre dell’Enea, da 5 kW e Agn-201 “Costanza”, reattore da 1 kW dell’Università di Palermo (entrambi attivi dal 1960).
In secondo luogo, la ricerca italiana a livello universitario è eccellente. In particolar modo grazie alla capacità di investimento e sviluppo del Politecnico di Milano, tra i più avanzati nell’offrire dottorati di ricerca, opportunità in ambito industriale e trasversalità alle applicazioni del nucleare in Italia. Non solo in ambito di generazione energetica, ma anche in campo di ingegneria della sicurezza e, fattore spesso dimenticato, ricerca medica. Sono in particolar modo due docenti dell’ateneo di Piazza Leonardo da Vinci, Matteo Passoni e Marco Ricotti, i maggiori fautori della complementarietà tra nucleare e transizione energetica in Italia. Passoni è socio del Comitato Nucleare e Ragone e responsabile delle attività di EUROfusion condotte al Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, Ricotti è professore ordinario di impianti nucleari, nonché presidente di Sogin dal 2016 al 2019.
Ma il Politecnico non è l’unica università a erogare corsi in tal senso. Anche a Palermo, Pavia, Pisa, Roma e Torino si trovano insegnamenti di questo tipo che servono spesso il mercato nazionale.
E qua veniamo al terzo punto: la vivacità dell’industria nucleare nazionale anche in un contesto che vede Roma non possedere centrali attive per la generazione. “Le imprese attive sul segmento nucleare sono centinaia, anche se per ora non esiste una mappatura completa. Molte di esse si distinguono per tecnologia e alti standard qualitativi, che vengono poi declinati in diverse attività”, nota MediTelegraph, citando in particolar modo Ansaldo Nucleare, sotto la guida di un cui ex dipendente storico, l’ingener Sergio Orlandi, sta venendo oggi sviluppata l’operazione europea del reattore sperimentale Iter, in Francia.

Le prospettive dell’industria nucleare
il reattore sperimentale Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), sito a Cadarache, vicino a Marsiglia, in cui un consorzio internazionale lavora al nucleare “pulito” del futuro. L’Italia partecipa con diverse aziende (Ansaldo ma anchhe Fincantieri, Vitrociset, spin-off di Leonardo, Asg Superconductors) capaci di acquisire appalti dal valore di un miliardo e seicento milioni di euro e, soprattutto, con il capitale tecnologico e scientifico dell’Enea di Roma.
In quest’ottica gli appalti sono trasversali per i nostri campioni nazionali: “Ansaldo Nucleare si è occupata dell’assemblaggio della macchina insieme alla francese Endel Engie”, ricorda il MediTelegraph, aggiungendo che “Asg Superconductors dei Malacanza ha realizzato le bobine, costruendole nello stabilimento con presa diretta sul mare alla Spezia”, mentre ” Fincantieri ha fornito e installato i sistemi di ventilazione insieme alla Cestaro Rossi di Bari, e ha montato i sistemi di alimentazione elettrica”. Altri appaltatori? Nomi brillanti dell’industria dell’energia italiana:  Termomeccanica, Vernazza, Simic, Irem, Criotec.
Attorno a queste aziende l’Italia può e deve costruire un serio ragionamento industriale, per valorizzare al meglio il capitale umano, economico e progettuale e dare futuro a una storia che nel nostro Paese data ai tempi dei Ragazzi di Via Panisperna, il gruppo di giovani fisici attivi a Roma sotto la guida di Enrico Fermi negli Anni Trenta, ed è proseguita con la fase gloriosa dell’Agip Nucleare di Enrico Mattei, precursore anche in questo campo, che inaugurò vicino Latina il primo reattore nel 1958, e ovviamente dell’Enel, oggi rimasta tra i grandi campioni del settore.
A gennaio 2021 Enel Produzione ha siglato un accordo con Energetický a Průmyslový Holding, compagnia ceca, al fine di concedere un’ulteriore linea di credito per il completamento della centrale di Mochovce, in Slovacchia. Enel Produzione ha costituito Slovak Power Holding finanziandola con ben 750 milioni di euro. A agosto 2022 l’Autorità regolatoria slovacca per il nucleare (Ujd) ha rilasciato l’autorizzazione definitiva per il terzo reattore di Mochovce, che porterà dal 52 al 65% la quota di energia prodotta col nucleare da Bratislava. C’è poi la partita del nucleare spagnolo operato dalle maggiori utilities iberiche, la più grande delle quali è Endesa, che fattura oltre 20 miliardi di euro l’anno, ha sede a Madrid e fa parte del gruppo Enel, che la controlla con una partecipazione del 70,1 per cento.
Insomma, c’è di che lavorare. E la sfida per il futuro dell’Italia sarà quella di connenttere le migliori energie, le migliori competenze e le forze vive del Paese per capire se c’è prospettiva di una reindustrializzazione del nucleare in Italia. Sia con la tecnologia della fissione sia in prospettiva con le dinamiche che potrà mettere in campo l’avveniristica corsa alla fusione.
Enea in tal senso sta unendo le forze con molte università e con enti come il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), il Consorzio Rfx di Padova e il Create (Consorzio di ricerca per l’energia, l’automazione e le tecnologie dell’elettromagnetismo) al finne di creare un vero e proprio polo scientifico-tecnologico da ultimare nel 2025 e tra i più avanzati al mondo, il cui motore sarà rappresentato da Dtt (Divertor Tokamak Test), un progetto di laboratorio da mezzo miliardo di euro in cui applicare il meglio del Made in Italy all’industria nucleare nazionale. Sul cui finanziamento, ricorda Il Sole 24 Ore, si sta facendo sistema a livello di Paese: ” la fetta principale delle risorse arriverà dalla Bei (la Banca Europea per gli investimenti) con 250 milioni erogati nell’ambito del piano Juncker, affiancata da Eurofusion, il programma ad hoc dell’Unione Europea con 60 milioni a valere sui fondi Horizon, mentre 80 milioni saranno garantiti da due ministeri (Istruzione e Sviluppo Economico). Altri 25 milioni, poi, saranno messi sul piatto dalla Regione Lazio (con altri 40 milioni per le opere civili) e altrettanti saranno assicurati dalla stessa Enea”.
La sfida sarà chiara. Capire se per accelerare la corsa alla frontiera della fusione, ricreando in piccolo l’energia come viene generata nei nuclei delle stelle, servirà passare da forme di nucleare più tradizionale per mantenere attive le tecnologie nel sistema-Paese. O se la frontiera infinita vada esplorata indipendentemente dalle azioni di breve periodo. Eni segue in tal senso una strategia autonoma muovendosi negli Stati Uniti attraverso il sostegno a Commonwealth fusion systems, la start-up in collaborazione con il Mit in cui crede anche Bill Gates, di cui il Cane a sei zampe è uno dei maggiori azionisti. In ogni caso stiamo parlando di una delle grandi questioni su cui si giocherà lo sviluppo del Paese nel futuro. Continuare a regalare appalti, competenze e conoscenze al resto d’Europa non è sostenibile: catturare il massimo del valore aggiunto può essere un presupposto per consentire a Roma di esser, anche nel campo del nucleare, capofila dell’industria del futuro destinata a giocare un ruolo negli equilibri energetici di domani.

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