domenica 30 Giugno 2024

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Causato dai russi nella guerra russoamericana all’Europa, da est e da sud

 

Il Sudan è sprofondato, di nuovo, nella guerra civile. E una guerra civile in una nazione africana, esattamente come un colpo di Stato, viene considerato una triste consuetudine. Comprensibile ma sin troppo semplicistica reazione dei più, perché in realtà dovrebbe più che altro calamitare attenzioni diplomatiche. Quanto sta accadendo in Sudan è infatti un serio campanello d’allarme per l’Europa, anche solo considerando la possibile escalation di flussi migratori.

Guerra civile in Sudan, gli eserciti in campo
A scontrarsi sono due contingenti armati. Da una parte ci sono le truppe lealiste fedeli al presidente Abdel-Fattah al-Burhan, dall’altra i seguaci del vicepresidente filorusso Mohamed Hamdan Dagalo. Una rivalità politica tra ai vertici del Consiglio Sovrano che guida la nazione africana, sfociata in un vero e proprio conflitto. Dapprima esploso e concentrato nella capitale Khartoum, poi rapidamente estesosi anche in altre zone del Sudan. In appena due giorni, dal 15 aprile, lo scontro si è trasformato in guerra civile. Difficile capire al momento chi prevarrà, perché le notizie che arrivano sono frammentarie, gli aggiornamenti spesso poco attendibili e dettati dalla propaganda scomposta delle due fazioni che si stanno affrontando a suon di sparatorie, raid aerei, incursioni. In termini numerici, le forze ribelli che rispondono a Dagalo, se la giocano con l’esercito regolare, potendo contare su circa 100mila uomini. Siamo insomma di fronte a una contrapposizione tra eserciti.
Per comprenderne il motivo dobbiamo però fare un passo indietro. Tutto ebbe inizio nel 2019, quando dopo 30 anni di governo dittatoriale, il leader sudanese Omar Hasan Ahmad al Bashir venne deposto con un golpe. Furono prese d’assalto le sedi della radio e della televisione pubbliche a Omdurman, vicino a Khartoum. Nel mentre la folla dava fuoco a pneumatici in strada, con le truppe paramilitari che bloccarono ponti e vie che conducono alla capitale. Gli attuali presidente e vicepresidente del Sudan, allora, stavano dalla stessa parte, contro al Bashir. Instaurarono un governo transitorio che, stando a quanto affermato dai nuovi “comandanti”, avrebbe dovuto condurre a elezioni democratiche. Ma nell’ottobre del 2021, dopo un altro tentativo di colpo di Stato da parte delle forze fedeli all’ex presidente al Bashir, Dagalo e al-Burhan unirono le forze per far cadere lo stesso governo civile a cui entrambi partecipavano. Diedero vita a quel punto al Consiglio Sovrano.
Un’alleanza traballante che iniziò a scricchiolare già a fine 2022. Iniziò così una battaglia a colpi di accuse reciproche sulla spartizione del potere, fino alla guerra civile scoppiata adesso. Il vicepresidente ribelle, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemedti”, ha stretti legami con la Russia. E per quanto l’esercito regolare controlli la gran parte delle attività economiche sudanesi, la forze di Hemedti hanno in pugno molte miniere d’oro. Una di questa sembra che la condividano con i mercenari della Wagner. E sarebbero stati proprio alcuni ufficiali della Wagner ad aver addestrato le truppe di Hemedti a una guerriglia più “moderna”.

I legami con la Russia e il rischio per l’Europa
Tuttavia un rapporto particolare lega Hemedti direttamente al Cremlino. Il generale non a caso si trovava Mosca proprio nel giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio dello scorso anno, per discutere del progetto del Cremlino di costruire una base militare russa sul Mar Rosso, a Port Sudan. E’ chiaro insomma che se le forze di Hemedti dovessero prevalere, Khartoum si legherebbe strettamente alla Russia. Un problema anche per l’Europa, perché il Sudan, in virtù della sua particolarissima collocazione geografica (vedere mappa sopra), è crocevia tra Africa centrale, orientale e settentrionale. Ovvero epicentro delle principali rotte attraversate dai clandestini diretti nel nostro continente, in particolare la rotta Khartoum-Assuan e la rotta Khartoum-Cufra, quest’ultima praticata in particolare da eritrei, somali e sudanesi stessi. In tal senso, se la destabilizzazione del Sudan è già allarmante di per sé, il nuovo potere potrebbe usare l’immigrazione come continua arma di ricatto.

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