lunedì 1 Luglio 2024

Meditazioni dalle vette

Più letti

Global clowns

Note dalla Provenza

Colored

altNon c’è più la relazione di un tempo tra l’uomo e le altezze

AGORDO (BELLUNO) – Guarda la neve che scende nell’ultima luce del giorno. “Cinque morti sotto le slavine, un inizio di stagione tragico. La colpa è della fretta e della poca esperienza. Non puoi buttarti in una neve che ancora non è stabile: il freddo è recente e non l’ha ancorata al pendio”. Leo De Nes, 61 anni, presidente delle 130 guide alpine del Veneto, dice che “almeno alcune disgrazie si possono evitare”. “Con questi poveri escursionisti non c’era nessuna guida alpina, anche perché nessuna guida avrebbe accettato di portare clienti sulla prima neve. La montagna è un terreno ostile che bisogna affrontare con molta umiltà. Il rischio zero non esiste, anche per chi è preparato. L’anno scorso quattro guide venete, impegnate con il Soccorso alpino, sono morte sotto una cascata di ghiaccio e un’altra ha perso la vita per salvare quella del suo cliente. Immaginiamo cosa succede quando si affronta la montagna senza preparazione”.
Lio De Nes, in questi giorni, sta preparando una strana lezione. Deve raccontare ai ragazzi delle scuole superiori della valle Agordina il mestiere della guida alpina o maestro di alpinismo. “Nessuno di loro vuole diventare guida, proprio qui dove questo lavoro era anche un sogno. Preferiscono fare gli operai nelle fabbriche di occhiali o i camerieri negli hotel. E allora noi guide raccontiamo loro il nostro lavoro e la nostra vita. I vecchi ricordano i tempi d’oro quando con il lavoro di una giornata, portando sul Civetta un belga o un inglese, ti potevi comprare una mucca. Anche adesso, se sei un vero professionista, ti porti a casa pane e companatico facendo quelle cose che gli altri possono fare solo in vacanza”.
A. A. A. Guida alpina cercasi. “Eppure ci sono anche qui tanti giovani che fanno le scalate, si impegnano nel Soccorso alpino… Ma come “mestiere” scelgono altre strade. Per reclutarli, parleremo anche di soldi. Per una arrampicata normale la tariffa è di 280 euro al giorno più Iva. Ma se porti il cliente su cime impegnative – parti di notte e torni la sera tardi – puoi arrivare a 800 – 1.000 euro”.
Adesso ci sono le scuole, per diventare guida alpina. “Chi comincia deve presentare un curriculum per la selezione. “Ho scalato queste cime, ho fatto sci alpinismo…”. I selezionati – c’è una commissione tecnica del Collegio regionale guide alpine – fanno poi un corso di 95 giorni nell’arco di due anni. Al termine diventi aspirante, nuovo nome di chi un tempo era chiamato “portatore”. L’aspirante può già portare clienti da solo, ma non sopra i 4.000 metri. Il corso costa 16.500 euro, rimborsati dalla Regione al 60%, solo se sei promosso”.
Gli appunti per la lezione sono già pronti. “Dirò che quando ho iniziato, come tutti gli altri, ero autodidatta. Ho imparato a fare i nodi comprando libri sui nodi dei marinai. Ho ascoltato per ore i racconti delle vecchie guide. L’equipaggiamento pesava il doppio di adesso perché le corde di canapa, se bagnate, erano come piombo. Maglioni di lana, giacconi, scarponi di cuoio e dentro lo zaino, pesantissimo, mettevamo formaggio, cioccolato, vino e acqua, pane, salame. Adesso nello zaino trovi solo tavolette e bevande energetiche. La piccozza ha il manico di alluminio e non più di legno, anche i ramponi sono in lega leggera”.
Non arrivano più i nobili d’Oltralpe, come il re Leopoldo del Belgio che a metà dell’800 riempiva un albergo con il suo seguito. “Ma non mancano i clienti che vogliono fare scalate importanti e per un professionista bravo – e capace di diventare imprenditore di se stesso – il lavoro non manca in nessuna parte dell’anno. Bisogna saperci fare, con chi si affida a te per affrontare una cima. Si spiega quali sono le difficoltà, si sale con calma, ci si ferma per fare le foto. Se vedo qualche difficoltà – ad esempio un temporale che si avvicina – mi metto sorridere o anche a cantare, perché il cliente si senta sicuro”.
“Spesso si diventa amici. Ci sono escursioni che durano almeno tre giorni o anche una settimana. Alla sera sei nel rifugio, mangi e bevi in compagnia. Oppure ti ricoveri in un “bivacco”, le casette del Cai con nove posti letto, le coperte, i fiammiferi, a volte un fornelletto a gas. Lì, sul “libro del bivacco”, scrivi da dove arrivi e dove vai il giorno dopo. Questo un tempo era l’unico sistema di sicurezza. “Domani sono alla cima Civetta e alle 14 alla malga di Bepi”. Se non eri lì, scattava l’allarme. Le previsioni del tempo si facevano con i proverbi, che dicevano tutto e il contrario di tutto. “Quando la Tofana mette il cappello / o fa tempo brutto o fa tempo bello”. Adesso per fortuna ci sono le previsioni di Dolomiti meteo e nello zaino abbiamo Gps e telefono cellulare. Ma certe emozioni non cambiano. Guardare l’ultima luce del tramonto da un bivacco sulla Marmolada, ad esempio. Devo ricordarlo: ai ragazzi voglio parlare anche di queste emozioni”.

Ultime

Non si andrà più in pensione

Ci restano meno di dieci anni

Potrebbe interessarti anche