martedì 22 Ottobre 2024

Così Russia e Usa stanno dividendo l’Europa

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Paralisi sulla politica energetica: il fante russo di Biden in questo è riuscito

Quindici giorni fa, incontrando a Bruxelles la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, mentre le bombe russe continuavano a cadere sulle principali città ucraine, il premier italiano Mario Draghi aveva fatto appello all’unità. Non solo sulle sanzioni contro Mosca e gli aiuti finanziari, militari e umanitari a Kiev, su cui l’Europa si è mostrata subito compatta. Ma sui dossier più spinosi, come quello energetico e dell’accoglienza dei profughi.
Un appello che a distanza di qualche settimana sembra essere già caduto nel vuoto. Sulla partita dell’energia, infatti, l’Unione europea è tutto fuorché granitica. L’idea della Commissione per affrontare la crisi e ridurre la dipendenza dal gas russo, che pesa per il 40 per cento sulle importazioni del Vecchio Continente, era quella di fermare la corsa al rialzo dei prezzi attraverso acquisti e stoccaggi comuni. La logica è la stessa utilizzata per l’approvvigionamento dei vaccini anti-Covid: negoziare i contratti con i Paesi produttori tramite una piattaforma congiunta per garantire condizioni favorevoli a tutti gli Stati membri ed evitare speculazioni.
Eppure già nel vertice europeo di Versailles si sono iniziati a delineare due diversi schieramenti. Il primo vede assieme Italia, Spagna e Portogallo, che chiedono di muoversi in modo compatto con acquisti collettivi e di introdurre un tetto al prezzo del gas. “È un fatto che in Europa sia superiore a tutte le altre parti del mondo”, ha detto giovedì il premier Mario Draghi al termine del Consiglio dei ministri alludendo alla speculazione in atto sui prezzi dell’energia nel Vecchio Continente. Oggi il tema sarà all’ordine del giorno dell’incontro a Villa Madama tra il capo di Palazzo Chigi e gli omologhi spagnolo, Pedro Sanchez e portoghese, Antonio Costa. A collegarsi in video conferenza sarà anche il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.
I “nordici” però storcono il naso. A capitanare il fronte del “no” ci sono Germania e Olanda. “Il rischio di mettere un tetto al prezzo del gas è che possa diventare poco attrattivo esportare in Europa dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo il gas naturale liquefatto di cui abbiamo davvero bisogno”, spiegava il premier olandese Mark Rutte a margine del vertice europeo della scorsa settimana. In realtà, come si legge in un retroscena pubblicato su Repubblica, il fatto che il mercato che fissa i prezzi del gas si trovi ad Amsterdam contribuisce a chiarire perché il governo olandese abbia poco interesse a calmierare le quotazioni. Anche Berlino non ha interesse a mettere un tetto al costo del gas, visto che ha dalla sua i contratti a lunga scadenza sottoscritti con Mosca. Accordi che, ormai è chiaro, non intende sacrificare nonostante le pressioni che arrivano da più parti.
Roma, Madrid e Lisbona insistono sul fatto che ci si trovi davanti ad una bolla che riguarda soltanto il mercato europeo e che deve essere bloccata con il sistema degli acquisti comuni. Nel frattempo si lavora ad un compromesso in vista del prossimo consiglio europeo del 24 e 25 marzo. Tra le ipotesi in campo c’è quella di calmierare i prezzi soltanto per famiglie e imprese in crisi. Si pensa anche ad un coordinamento sugli acquisti di energia proveniente da fonti rinnovabili e ad introdurre un tetto al prezzo marginale per ridurre gli esborsi per gli utenti finali, mentre è quasi certo il ricorso ad un nuovo “Temporary framework”. La norma che ha consentito agli Stati membri di derogare dalla disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato durante la pandemia potrebbe essere recuperata contro il caro-bollette, per sostenere aziende e famiglie in difficoltà.
Nei prossimi mesi è prevista anche l’adozione del RePowerEu, il piano della Commissione che mira a “diversificare le fonti di approvvigionamento di gas, accelerare la diffusione di gas rinnovabili e sostituire il gas nel riscaldamento e nella produzione di energia” per ridurre la dipendenza dal gas russo. Su questo punto, a Versailles, c’è stato un accordo in linea di principio. Ma ancora non è stata fissata una data. Secondo fonti dell’agenzia Reuters, alcuni avrebbero parlato di 2030, altri di 2027, mentre Stati come i Baltici e la Polonia hanno chiesto di seguire la strada intrapresa da Usa e Gran Bretagna con un embargo immediato alle importazioni di gas e petrolio dalla Russia. Ma anche su quest’ultima ipotesi non c’è unanimità.
A respingerla è un nutrito gruppo di Paesi, in primis Germania e Ungheria. A chiarire il motivo senza girarci troppo intorno è il premier magiaro, Viktor Orban: “Condanniamo l’offensiva armata russa e la guerra ma non permetteremo che siano le famiglie ungheresi a pagarne il prezzo”.

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