lunedì 1 Luglio 2024

Enzo Bearzot

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Corsi e ricorsi: aria da 1943. Non nella tragedia ma – ne sarebbe inorgoglito Marx – come ripetizione in farsa. Abbiamo assistito ad uno spettacolo indecoroso di cambi di campo, di gente che si defilava, di persone che dopo avere incensato ora questo ora quello, di colpo prendevano a insultarlo per poi magari tornare a innalzarlo fingendo di non avere detto niente. Mesi e mesi di mancanza di pudore, di ostentate ignominie televisive, improntate intorno alla sfida di Fini a Berlusconi. E’ sembrata un nuovo reality, “Il grande italiota”.
Alla fine il titolo d’italiota dell’anno se lo è sicuramente guadagnato Fini, bruciando sul traguardo Scilipoti, con la sua epocale affermazione “basta attaccare Berlusconi!”. Amen.

Oltre la farsa c’è la tragedia

Oltre la farsa c’è però la tragedia, ovvero l’autenticità della vita. E nel giorno del solstizio, la morte di Enzo Bearzot ci ha richiamato alla realtà ricordandoci che le imitazioni-farsa del 1943 non datano di oggi e che ci sono in ogni campo.
Egli ne è stato oggetto simbolico quant’altri mai.

Il roccioso furlan

Correvano gli Anni di piombo e il roccioso furlan divenuto tecnico della Nazionale dopo un breve apprendistato dietro un campione del terreno di gioco e della panchina, il fascistissimo Fulvio Bernardini, si trovò a guidare la squadra azzurra. Non erano anni di gloria; prive di stranieri (uniche in Europa) le nostre squadre di club non vincevano quasi mai le coppe dominate dagli inglesi. Intanto alle solite grandi nazionali, Germania, Brasile, si andavano aggiungendo forze emergenti come la Francia e l’Argentina, ma anche Urss, Belgio, Polonia e Cecoslovacchia dicevano la loro. Era il tempo della grande Olanda. Correva l’anno 1978, andammo in Argentina, battemmo i futuri campioni a Baires, sfiorammo il titolo.
Fu un’impresa ma i nostri giornali erano attratti da altro (Brigate Rosse, Compromesso storico).
E poi ci fu lo scandalo del calcio-scommesse. Con tanto di giustizia sommaria.
Rammentiamo di cosa si trattò. Un paio di scommettitori clandestini denunciarono diversi calciatori di non aver mantenuto il patto con loro, ovvero di non aver giocato per perdere pur essendo stati pagati per questo da loro che, puntualmente, per questo, si rovinarono.
Di fatto quei calciatori si erano assicurati il “premio sconfitta”; ovvero accettavano di procurarsi una sorta di assicurazione nel caso fossero stati battuti ma giocavano comunque per vincere. Era chiarissimo, tant’è che tra gli squalificati abbiamo il portiere laziale Massimo Cacciatori colpevole di essere stato il migliore in campo in una partita a S.Siro contro il Milan, che poi costò un’inspiegabile retrocessione a tavolino a entrambi i club; e Paolo Rossi colpevole di aver segnato due reti all’Avellino!
La giustizia fu sommaria. Non è certo pratica meritevole arrangiarsi per farsi pagare il premio-sconfitta da dei privati nel caso non si centrino il premio vittoria o quello del pareggio. Ciononostante la sentenza avrebbe dovuto essere più equa ed articolata e non si sarebbe dovuto far passare quei giocatori come gente che si era venduta; il che, almeno nei casi sanzionati, non avvenne.
Fatto sta che, in seguito alle squalifiche, Bearzot dovette affrontare gli europei del 1980 con una nazionale monca che rimase imbattuta e a reti inviolate ma si fece eliminare dal Belgio per computo reti (3-2 contro 1-0) dopo uno zero a zero nello scontro diretto.

Il linciaggio di Spagna

Ai mondiali di Spagna andammo in un momento difficile per il Paese. La ripresa economica s’iniziava a sentire ma la guerra civile era ancora in atto; al governo avevamo dei commissari politici di Washington e Tel Aviv; solo in seguito ci sarebbe stata l’ondata di aria fresca e liberatrice apportata da Bettino Craxi. Come presdiente della Repubblica un dirigente partigiano che la voce popolare riteneva portasse jella (e alla finale di Madrid quando alla sua presenza Cabrini fallì il rigore sullo zero a zero, in molti ne lessero una sinistra conferma).
Ci qualificammo come seconda miglior terza classificata (ovvero come sedicesima squadra dopo il primo turno) grazie a tre pareggi consecutivi con Polonia, Perù e Camerun.
E Bearzot venne linciato da tutta la stampa e da tutta l’opinione pubblica.
Tutti a decantare le mirabilie del grande Brasile ma, anche, di Belgio e Unione Sovietica.
Bearzot fu gettato nella polvere, infangato, insultato senza posa.
All’epoca, nel mio girovagare, ero in Spagna durante il primo turno (il resto lo vidi in Italia) e sentivo bene il caldo che faceva. Oltretutto l’ora legale già sovrapposta a quella da decenni in vigore nel Paese iberico, spostava la lancetta in avanti di ben due ore.
Nel nostro girone si giocava praticamente alle 15 sotto un sole assassino. I grandi che davano lezioni al mondo giocavano invece in notturna. Per questo io, contando sulla tempra che avrebbe  concesso un miglior rendimento nelle successive partite, mi sentivo fiducioso ma, in giro, solo Gigi Riva pareva pensarla come me.
Passato il turno ecco che le grandi della prima fase presero schiaffoni da chi aveva stentato sotto il sole. Delle quattro semifinaliste due (noi e la Polonia) provenivano dal nostro girone di Vigo; le altre (Francia e Germania) avevano anch’esse giocato in diurna.

Il trionfo di Spagna

Fu un’improvvisa marcia trionfale che ci portò al titolo mondiale. I giornali che (con l’eccezione del solo Tuttosport) avevano fatto a gara nel pubblicare articoli aggressivi, affermazioni perentorie e titoli beffardi, aggiustarono gradualmente il tiro. Pian piano tutti sembrarono essere bearzottiani della prima ora. Chi lo aveva fischiato? Nessuno! Uno solo ebbe il coraggio di mantenere la sua opinione, l’allenatore Eugenio Fascetti.
Gli altri, dopo aver gettato sassi e sputi, tutti ad applaudire, tutti saliti sul carro del vincitore.
Salvo poi, quattro anni più tardi, avvalorarne l’esonero per l’eliminazione che subimmo in Messico da parte di una Francia davvero forte. Bye bye Bearzot.
Dalle stalle alle stelle e poi dalle stelle all’oblio.
E nell’oblio lo abbiamo sepolto alla vigilia di Natale.
Forse però quest’oblio ha un minimo di decoro: che dire invece del trattamento volgare inflitto dalla plebaglia a Bettino Craxi nel momento in cui Washington, Tel Aviv e Botteghe Oscure riuscirono ad avere la sua testa?
Di tutti quei socialisti che aggiustarono il tiro nello stesso modo, ma in senso inverso, dei giornalisti sportivi del 1982?
Il problema è che l’Italia dà una pessima immagine di sé; esprime il suo peggior essere vile e canaglia. Lo fa spesso. Nel 1943 fu tragico, poi è stato drammatico o farsesco, ma non è mutato. E si ripeterà.

Una grande fogna

Siamo davvero gente così schifosa, così indegna, così meritevole di morso e collare?
Né più né meno di altri popoli “civilizzati” della storia recente come il francese, d’altronde solo un paio di generazioni orsono siamo riusciti a fornire centinaia e centinaia di migliaia di volontari per una guerra persa, per l’Onore.
Purtroppo, da noi imperano da sempre gerarchie invertite e da queste provengono esempi deleteri e mortiferi. Siamo  un popolo a cultura mammista e infarcito di filosofie del disimpegno terreno non sempre spirituali che provengono dalle parrocchie. Una miscela disgregante e avvilente che, in mancanza di rettifiche virili, ci rende una grande fogna.
E questa maledizione ce la portiamo addosso.
Interrotta di tanto in tanto da figure non italiote ma italiche. Che magari, come Enzo Bearzot, ascendono ai cieli in un giorno solstiziale. Ad ammonirci dall’alto; ma per accogliere l’ammonimento bisogna essere in grado almeno di alzarla, la testa.

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