martedì 3 Dicembre 2024

J’ai deux amours: mon Pays et Paris

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Un idillio nato da più di quattro decenni

Quarantuno anni fa, il 24 novembre 1980, verso le sei di mattina mettevo per la prima volta piede a Parigi, scendendo alla Gare de Lyon da un treno notturno da Briançon. Alla vigilia, mentre il Sarno veniva devastato dagli elementi, avevo passato il valico sui monti, dal Sestrière.
Mi ritrovai in un mondo diverso da quello in cui avevo vissuto fino ad allora. Un mondo molto più cosmopolita e più identitario al tempo stesso. La vita costava almeno il doppio che a Roma, ma era più vissuta. Le case dei francesi erano sempre aperte per ricevimenti improvvisati, le strade piene anche di notte, i locali stracolmi. Una delle cose che nei decenni successivi avrebbero più stupefatto i miei amici in visita in Italia sarebbe stata l’assenza di vita notturna fuori da zone circoscritte e, eccettuando il Veneto, quanto gli italiani bevano poco.
Quando giunsi a Parigi, in effetti, ero astemio. Poi recuperai il tempo perduto.

Così diversi e così uguali
C’è in Europa un’identità di fondo che si esprime in diversità apparentemente incolmabili.
Nelle mie successive patrie d’adozione (Francia e Spagna) fu sempre così. L’importante è cogliere l’identità essenziale e saperla coniugare con la forma locale. Questa è ovviamente la logica imperiale che non annulla, bensì esalta sintetizzandole, le identità nazionali e regionali.
Coloro che, sbagliando, pensano che abbiamo troppe differenze di fondo e, quindi, a causa della propria ignoranza e di un complesso d’inferiorità mascherato da orgoglio, si rifugiano nel nazionalismo, non si rendono conto che le differenze tra italiani, spagnoli, francesi, greci e tedeschi non sono superiori, anzi spesso sono minori, rispetto a quelle tra calabresi, emiliani, sardi, liguri e romani.
Basta saper respirare, sentire l’empatia. Così, come si può cogliere Milano o Napoli abitandovi per un po’, ciò accade anche a Parigi.

Quella grandezza
All’epoca, c’era identità nella grandezza della politica, ma c’era anche diversità. I grandi politici italiani erano dei novelli Giolitti, tipo Andreotti, Forlani, lo stesso Moro; quelli francesi erano dei monarchi repubblicani: Giscard, Mitterrand, lo stesso Chirac.
La vivacità intellettuale, culturale e politica dell’ambiente che oggi definiremmo area era notevole, lì come qui. C’era una cosa che da noi avrebbe tardato almeno quindici anni per manifestarsi: la differenza tra intellettuali e militanti. Da noi nessuno che non fosse seriamente militante si poteva permettere di scrivere o parlare, ed era bene così, poi siamo andati in decadenza.
Da loro, però,  nella vita quotidiana chiunque, compresi gli intellettuali, era umilmente camerata. Come ci accolsero i francesi nelle loro case, come ci sfamarono, come ci sostennero, è qualcosa che non si può neanche immaginare e che qui non sarebbe accaduta, né accadrà di certo in seguito.

Testimonial del caffé
Noi non eravamo più numerosi di una formazione di palla a volo, i compagni invece erano centinaia e centinaia e vennero accolti dalla borghesia al caviale.
Chi rimembri com’era il caffè in Francia allora e ci capiti oggi, sia in molti bar che nelle case private, quasi tutte equipaggiate all’uopo, non potrà non sorprendersi. Sono convinto che la diaspora rossa abbia insegnato alla borghesia parigina a bere il caffè. Gli aspetti inimmaginabili delle vicissitudini della vita sono sorprendenti, basta osservarli con distacco ed ironia.

Non c’è paragone
Il tempo è trascorso e il livello generale – culturale, intellettuale, esistenziale e politico – è crollato lì come qui. Da noi si assiste al militantismo dell’# e del selfie, accompagnato con le masturbazioni intellettuali e banali dei narcisisti d’accatto che per l’ottanta per cento prendiamo in prestito dai fallimenti altrui. Qui si è perfino fatta strada quel coso buffo denominato “sovranismo”, così innaturale e anti-italiano nel dna prima ancora che nemico nostro e dell’Europa e servo sciocco delle logge inglesi.
Anche lì però il livello è crollato rovinosamente, come statisti e uomini politici, al punto che un Macron che all’epoca sarebbe stato al massimo un funzionario, non solo è il Presidente ma è un gigante rispetto a tutti i suoi rivali. Un crollo che si ritrova in ogni ambiente politico e culturale. La stessa destra radicale ha perduto quasi totalmente i suoi riferimenti letterari, storici, culturali, ideali, tanto che una porzione di essa si accoda nella sua fluidità di genere al paladino berbero e israelita Zemmour che, oltre ad essere il portatore di strategie nemiche ed espressione di lobbies di potere e di denaro è anche un palese protagonista di quel Grand Remplacement di popolazione che egli stesso denuncia con la faccia tosta più candida.
41 anni dopo il confronto è impietoso. Basti pensare che il sindaco di Parigi allora era Chirac e oggi è la Hidalgo…

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