lunedì 1 Luglio 2024

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Sono morti per tutti i gladiatori di un monumento funerario a Locus Ferroniae, lasciati sotto a un telone.

 

ROMA – Chi ha a cuore i nostri beni culturali pianti lì tutto quello che sta facendo e corra a Lucus Feroniae. Entri nel cortile del museo e sollevi i teloni buttati sopra 7 pannelli del fantastico monumento funerario con figure di gladiatori strappato tre anni fa ai tombaroli vicino a quel sito archeologico abbandonato al degrado e alle sterpaglie. Resterà atterrito: è quello il modo di conservare un tesoro?
Quel luogo sulla via Tiberina a pochi chilometri a nord di Roma è il posto giusto per rendersi conto della considerazione riservata al nostro patrimonio archeologico. Ti spezza il cuore, oggi, visitare ciò che resta del bosco sacro (questo significa Lucus) di Feronia, la dea alla quale era dedicato l’antico santuario celebre per le sue ricchezze e saccheggiato da Annibale nel 211 a.C., protettrice degli schiavi liberati e depositaria (secondo i suoi devoti) di grandi capacità taumaturgiche per lenire i dolori del corpo e dell’anima.

Il grande centro religioso abbandonato probabilmente nel V secolo d.C. e scoperto per caso nel 1953 all’interno delle sue tenute dal principe Vittorio Massimo, proprietario del Castello di Scorano, nel comune di Capena, a poche centinaia di metri dall’Autostrada del Sole, è coperto da erbacce che nessuno falcia, arbusti che nessuno strappa.
Un tempo era una cittadina romana che aveva un foro, la basilica, un anfiteatro, templi, botteghe, negozi e un complesso dell’età imperiale di terme che venivano riscaldate con il passaggio di vapori bollenti nelle intercapedini sotto il pavimento e dietro le pareti… Oggi la trovi solo se sai che esiste e hai la pazienza cocciuta di cercare lo sgarrupato cartello segnaletico difficile da individuare.

Il comune di Capena, certo, si vanta di ospitare quelle testimonianze antiche. E apre la sua home page ricordando quanto scrisse Cicerone nelle sue Epistulae ad Familiares: «Si vis pingues agros et vineas perge Capenam». Traduzione: Se desideri fertili campi e vigneti dirigiti verso Capena. Della storia del sito archeologico, però, c’è poco o niente. Per capirci: 3 foto di Lucus Feroniae, 3 dell’apertura di un parcheggio, 3 dell’inaugurazione di una nuova aula magna, 6 della nuova mensa scolastica, 12 del nuovo campo sportivo…

 

 


I risultati si vedono: l’ingresso al sito archeologico e al museo è gratis, ma ciò evidentemente non basta a ingolosire gli sparuti turisti. Il massimo storico è stato toccato nel 2001, quando a Lucus Feroniae arrivarono addirittura in 3.934. Poi, inarrestabile, il declino. Fino ai 1.337 ospiti dell’anno scorso: una media di 3,6 visitatori al giorno. Umiliante. Tanto più dopo la scoperta nel 2007 del bellissimo monumento funerario decorato con bassorilievi di fattura incredibilmente accurata che raffigurano combattimenti fra gladiatori.

Li aveva recuperati nelle campagne di Fiano Romano il Gruppo tutela patrimonio  archeologico della Guardia di Finanza prima che venissero portati via per essere venduti chissà dove. All’estero, ovviamente. Come troppo spesso accade ai nostri tesori archeologici, dopo essere passati per le mani di qualche mercante senza scrupoli.
Come li avevano visti, quei bassorilievi, i finanzieri si erano resi conto di essere davanti a uno dei salvataggi più importanti degli ultimi anni. Per la qualità, per lo stato di conservazione e soprattutto per la particolarità del soggetto. Ma anche per le dimensioni e la completezza del reperto. Era stato trovato per caso da tombaroli improvvisati durante lo scasso del terreno per la costruzione di una villetta.

Senza dire niente alla Soprintendenza, quei predatori dell’arte perduta, come li chiama Fabio Isman nel suo libro omonimo, avevano smontato il monumento funebre sotterrandone i pezzi, tredici in tutto, in attesa di piazzarli sul mercato clandestino. Un progetto miracolosamente mandato a monte dall’intervento della Finanza.
Non avrebbero prezzo, quei grandi pannelli, sul mercato internazionale delle antichità. Qualunque grande museo del mondo, orgogliosamente, li metterebbe in una posizione d’onore per esaltarne al massimo la bellezza. Non per nulla, quando i pezzi del monumento vennero trovati ci fu chi propose di portarli a Roma. Magari al museo nazionale romano di palazzo Massimo alle Terme.

Venne fatta invece, in ossequio alla logica secondo la quale i beni archeologici devono restare nel luogo originario, una scelta diversa. E la Soprintendenza decise che quel tesoro venisse collocato al piccolo museo di Lucus Feroniae. Dove però potevano montare ed esporre al pubblico soltanto sei di quei blocchi: gli altri sette furono appunto appoggiati sotto un portico. Una beffa: tirati fuori dalla terra dove i tombaroli li avevano nascosti per finire sotto un telone. Era il gennaio 2007. Da allora non li hanno più mossi.

Una scelta forse obbligata, data la mancanza di spazi di quel minuscolo museo. Ma incomprensibile per chi visita il posto e butta l’occhio su quei preziosi pannelli coperti dai teloni. Così come è incomprensibile la sciatteria di chi ha sistemato i sei pannelli esposti del bassorilievo senza uno straccio di cartellino che spieghi agli sparuti turisti in visita che cosa sono, da dove vengono, in che epoca furono scolpiti: nessuna informazione. Zero carbonella.
Esattamente come per le grandi e bellissime statue senza testa né mani che fanno compagnia ai gladiatori. Reperti straordinari, rarissimi se non unici. La testa era intercambiabile: via via avvitavano sul tronco quella di chi in quel momento comandava a Roma.
Una vergogna. Quelle statue rappresentano del resto la metafora della situazione in cui versa il patrimonio archeologico italiano. Un tesoro immenso. Senza una testa che a Roma se ne occupi davvero.

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