mercoledì 8 Maggio 2024

Oggi nel mondo

La trama delle crisi internazionali

Più letti

Global clowns

Note dalla Provenza

Colored

Da qualche mese le tensioni internazionali sembrano moltiplicate, con il Sahel, Gaza, il Mar Rosso e le elezioni a Taiwan. La logica però è una e si riassume a pochi elementi essenziali.

Gli Stati Uniti sono in pieno rilancio economico e di potenza e giocano con gli altri players cercando di indebolirli, di dividerli e di legarli a sé.
Dal 2022 il Dollaro è riuscito a sventare la sola minaccia seria alla sua egemonia che per un ventennio abbondante aveva rappresentato l’Euro. In soccorso agli americani in questa contesa vitale sono accorsi gli inglesi e in seguito i russi, con codazzo dei sovranisti in Europa.
Intanto gli Usa, con il rilancio industriale e con il dominio del mercato energetico, hanno invertito la tendenza che, dagli anni cinquanta in poi, aveva visto ridurre il loro peso specifico rispetto al Pil mondiale: in calo costante prima del 2022, aveva finito col rappresentare il 21% del globale, ora, in soli due anni scarsi, è risalito al 25%. La “dedollarizzazione” non ha funzionato. La Cina dipende dalle riserve in dollari che detiene in gran quantità e, comunque, nelle transazioni internazionali dell’anno trascorso, il Dollaro è stato presente nell’88% dei casi. Il che significa che è stato assente solo nel 12%. Ma, tra le monete dei Brics Più, la sola presente, il Renmbimbi, lo è appena nel 5%.

Chi pensa che gli americani siano in difficoltà continua a fraintendere il valore delle sconfitte militari, dirette o indirette. Gli americani le collezionano costantemente ma usano le guerre per dissanguare gli altri e creare le condizioni per portare a casa successivi risultati politico-economici, come è accaduto in Vietnam. Stesso schema in Africa, Ucraìna, Taiwan e forse Afghanistan.
Solo i russi non hanno imparato la lezione dell’irrilevanza della forza muscolare, confondendola con la superiorità militare di accompagnamento alle politiche di dissuasione e di convinzione che sono, invece, americane e cinesi. Sicché nella loro rozzezza continuano a perseguire e ostentare forza bruta, restando poi con un pugno di mosche dato che nessuno li calcola come players strategici, ma tutti li usano come sponde e spaventapasseri.
Peraltro i ripetuti bombardamenti e attacchi ucraìni al suolo russo hanno messo in discussione la credibilità di Mosca, in quanto la dottrina della dissuasione nucleare in caso di minaccia del proprio territorio si è rivelata un bluff, o, quantomeno, non un must.

Ogni contesa oggi in atto è un attacco all’economia e all’agibilità politica dell’Unione Europea, e, particolarmente, nasconde una guerra alla Germania e alla Francia, che, tanto per non farci mancare nulla, ricade sull’Italia.
La Germania più di ogni altro, subisce gli effetti dell’iniziativa russoamericana in Ucraìna perché, avviata incautamente alla denuclearizzazione dalla Merkel, adesso paga la cesura energetica con Mosca che ha messo fine a quella che venne denominata “Rapallo energetica”.
Le conseguenze sono ricadute in misura estrema sull’economia tedesca. La scelta di Berlino è stata comunque obbligata perché l’alternativa avrebbe significato la completa abdicazione al controllo politico-economico dello spazio vitale tedesco nel vicino est e la fine di ogni aspirazione nazionale e continentale.
L’attacco incomprensibile del febbraio 2022 è stato vissuto perciò in Germania come una coltellata alle spalle da parte russa. Ne è susseguita la Zeitenwende che, riprendendo in parte la teoria di Schaüble, indica un percorso a tappe per l’autonomia strategica europea.
Il ministro della Difesa, Pistorius, è oggi il politico più popolare in patria. La sua linea di riarmo che punta a che la Germania si doti di un forte esercito di terra e aumenti notevolmente il budget di spese militari, gode del consenso del 72% della popolazione.
L’ex ministro degli esteri Fischer ha aggiunto che la separazione dagli americani è preventivabile e che si deve sviluppare un programma di armamento atomico europeo.
La Francia ha da tempo proposto la condivisione della force de frappe e predica più di ogni altro il superamento della Nato. L’ostilità americana è tangibile.

L’Europa nel suo insieme ha dovuto far fronte all’allargamento della Nato causato da Mosca e alla crisi degli approvvigionamenti energetici cui si sommano le difficoltà di navigazione che ricadono principalmente sui commerci europei.
Infatti, oltre a un allungamento dei tempi, il crollo del traffico marittimo nel Mar Rosso ha provocato anche un’impennata dei costi e una riduzione dell’import-export. il trasporto di un container standard da 40 piedi dalla Cina al Nord Europa costa attualmente oltre 4.000 dollari rispetto ai circa 1.500 di novembre. Tanto per dare un’idea il 15% circa del commercio internazionale italiano passa per il Mar Rosso. I prezzi marittimi che lievitano ricadono su rincari anche su altre rotte. L’escalation di tensioni in Medio Oriente mette poi a rischio l’offerta di materie prime. L’Europa è quindi sotto fuochi concentrici.
L’unico dato positivo è che si è iniziata a capire la necessità di una centralizzazione politica, almeno parziale, e di un deterrente militare all’altezza. Nel 2022 la spesa bellica mondiale è cresciuta del 3,7%, ma quella europea del 13% , il che attesta la volontà di colmare il ritardo.

Vi è un particolare gioco a tre tra Stati Uniti, Cina e India.
Le due potenze asiatiche sono molto scaltre e attente nelle loro relazioni in cui altalenano cooperazione e competizione, ma quest’ultima prevale nettamente. La contesa si espleta nella creazione di due sistemi di alleanze geopolitiche contrapposte nell’Indopacifico. La cinese, definita Collana di perle, annovera come principali elementi Nepal, Myanmar, Sri Lanka, Gibuti e, da pochi mesi, le Maldive. Quella indiana, o Collana di diamanti, risponde con Oman, Singapore, Indonesia, Vietnam. Inoltre, dal 2021, il gruppo I2U2 vede coinvolti India, Stati Uniti, Emirati e Israele, mentre il progetto del corridoio marittimo-ferroviario IMEC contende alla Via della Seta l’accesso eurasiatico. L’India si è poi inserita autorevolmente nella corsa allo spazio, non solo con un allunaggio riuscito, a differenza di quello russo, ma progettando l’invio di una sonda sul Sole.
Sullo sfondo del Medio Oriente si gioca una partita tra Pechino e Nuova Delhi che ha come posta il livello di autorevolezza di partenariato con gli americani.
Pechino si è infatti offerta senza mezzi termini di “aiutare Washington a mediare”. Non è mistero che i cinesi, anziché sfidare il sistema, chiedano maggiori quote nella gestione mondiale e un riconoscimento che gli americani, più che negare, provano a contenere, logorandoli.

Eloquente il rapporto con l’Iran. La Cina si dice d’accordo con il no alla nuclearizzazione di Teheran e si proclama disposta a mediare per un nuovo accordo con gli Stati Uniti.
L’Iran è però il principale fornitore di petrolio per l’India. La diplomazia cinese che prova a mettere d’accordo sauditi e iraniani, acquisendo così un’autorevolezza davvero notevole, viene vista di cattivo occhio da Nuova Delhi e non garba a Washington e a Tel Aviv. Per cui le attuali tensioni nel Golfo e nel Mar Rosso trascinano Teheran per i capelli, costringendola a non sconfessare suoi scomodi alleati, ma, così facendo, osteggiano le ambizioni cinesi.
La vittoria dei nazionalisti a Taiwan è un’altra spina nel fianco per Pechino. Di qui a immaginare uno scenario da guerra mondiale ce ne corre, dato che la Casa Bianca ha ribadito per l’ennesima volta di non essere disposta a difendere l’indipendenza di Taiwan.

Il gioco è sempre lo stesso: alimentare, o, più spesso, lasciar montare le tensioni alimentate da altri, per logorarli ed avere delle monete di scambio.
Non ci sono molti dubbi sul fatto che gli Usa lasceranno Taiwan, così come hanno fatto con l’Ucraìna. Come scrivemmo fin dal primo giorno, Washington fu felice dell’aggressione russa a Kiev, un’invasione che diversi analisti delle intelligences (cinesi, indiani, italiani e iraniani) definirono immediatamente concordata. Il che, al limite, è secondario.
La fanteria e l’artiglieria russa hanno comunque fatto il lavoro che interessava agli americani i quali, da ormai dieci anni, hanno sostanzialmente offerto il Donbass alla Russia e stanno usando Mosca contro l’Europa per una guerra economica e per frenarne le velleità strategiche.
Per gli americani la guerra avrebbe dovuto concludersi con la spartizione ucraìna prima delle prossime presidenziali. Sicché non hanno sostenuto la controffensiva di Kiev con carri o aerei e hanno perfino impedito ai polacchi di concedere i propri apparecchi. Ora che gli ucraìni devono rispondere alla nuova offensiva russa, Washington ha negato loro i patriots e ulteriori finanziamenti.
Gli americani non si aspettavano dai russi un così grande ritardo nelle operazioni belliche e hanno capito che, senza aiutare sfacciatamente Mosca, rischiano di non poter imporre la spartizione prima del prossimo autunno.

L’abbandono americano ha però rimesso in pista il terzo incomodo, la Gran Bretagna, che già aveva svolto un ruolo di punta all’inizio del conflitto. L’impegno fresco d’inchiostro raggiunto con Kiev di condivisione di intelligences, sicurezza informatica, formazione medica e militare, cooperazione industriale nella difesa e aiuto finanziario, può scompaginare le carte.
Intanto questo permette a Londra di rientrare fattualmente nella Ue, mentre continuano le trattative per un accordo organico che le permetta di annullare o almeno attenuare gli effetti della Brexit che sono stati devastanti sul piano economico, etnico, commerciale e strategico e che oltre l’80% degli inglesi vorrebbe lasciarsi alle spalle. Ma sul piano puramente bellico questo può avere effetti imprevisti, in quanto Mosca già stava cantando vittoria per la conclusione favorevole che le aveva apparecchiato Washington.

C’è ovviamente ben altro, soprattutto i massacri delle popolazioni in ostaggio.
La strategia della tensione a livello internazionale ha i medesimi effetti di quelli conosciuti a suo tempo in Italia, ma all’ennesima potenza. C’è “licenza di uccidere”, quindi intervengono interessi di ogni genere, quali quelli borsistici e speculativi, che lievitano con i blocchi navali e nelle zone di conflitto, ci sono le nuove spartizioni di gas sottomarino. In un quadro del genere le mire espansionistiche e perfino genocide si sentono incoraggiate. Poi gli scontri tra bande per il dominio di milizie e per l’affermazione di influenze di genere mafioso. Tutto questo ci dà una visione abbastanza corretta di quello che avviene dal 7 ottobre e che abbiamo denominato Hamasrael.
Inoltre i players medi, quali la Russia o la Turchia, sulla scia sinoamericana, cercano d’imporre le loro influenze con un mix, non sempre ben equilibrato, di politica e di potenza militare.
E ci sono altre potenze medie in riorganizzazione strategica (Regno Unito) o in riarmo (Giappone) pronte a dire la loro.

In ogni caso parliamo del medesimo sistema ovunque, quello del capitalismo selvaggio. In Europa esso è mitigato dal welfare e da alcune forme di partecipazione, ma la concorrenza terzomondista e la logica Wasp stanno facendo retrocedere giorno dopo giorno la socialità europea.
Singolare che questa socialità si colleghi spesso con l’ostentazione della decadenza dei costumi e dei valori, molto minore fuori dall’Occidente. Non la decadenza di costumi e valori, che, anzi, sono altrove quasi sempre peggio di qui, ma l’ostentazione di questo “progresso”. Un’ostentzione che è più che altro il vezzo di una borghesia debosciata, frutto del gramscismo progressista e della Scuola di Francoforte. Di fronte a questa decadenza si comprende l’istinto di reazione e l’esaltazione di altri modelli, che però non hanno nulla da insegnare neppure al peggior Occidente. La questione è soltanto nostra e la risolveremo noi. Ma il vero problema non è questa deriva culturale che si rettificherà, è il dramma demografico in cui ci troviamo.

Tutto questo insieme diversificato compone il generale quadro frastagliato e apparentemente instabile: è sull’apparente instabilità che si fonda la stabilità vera di un sistema disunito ma pur sempre uno in tutte le sue varianti “geopolitiche” importanti.
Ma le linee direttrici sono quelle che abbiamo riassunte. Gli Usa, con un aggiornamento della Dottrina Brzezinski che insegna a favorire le contese tra gli altri players facendo in modo di essere sempre indispensabili a ciascuno di loro, muovono contro l’Europa e per un accordo con la Cina nelle condizioni più favorevoli possibili. Questo acuisce la contesa tra India e Cina e scombussola i piani eccessivamente presuntuosi di chi vuole ascendere concretamente.
Il resto (Bene contro Male) è fumo negli occhi o tifo ultrà proiettato in uno scenario che poco c’entra con la realtà ma solo con una sua rappresentazione inesatta e non raramente psicotica.

Ultime

In fila indiana

Più promettente della Cina

Potrebbe interessarti anche