Fabrizio Di Ernesto, Fuoco Edizioni, pagg. 86, 11,00 euro
Un saggio che descrive minuziosamente la presenza militare a stelle e strisce nel nostro Paese. Taluni tentano di stilare una sorta di classifica al fine di stabilire, tra i molteplici campi d’azione dell’imperialismo (militare, politico, economico, finanziario, culturale, razziale, propagandistico,
artistico), quale sia il più pernicioso, quale sia l’incipit di questo tumore maligno che rode i tessuti della nazione e quali le metastasi. Tale predisposizione mentale può essere fuorviante, perché devia l’analisi dal concepire il fenomeno imperialista (di cui gli Stati Uniti d’America, imponente talassocrazia in declino e falange armata del capitalismo, in cui l’imperialismo trova il suo naturale sfogo, sono contingente rappresentazione) come un tutt’uno, come una totalità (dis)organica al di fuori della quale questo non potrebbe trovare l’affermazione e la realizzazione che oggi lo vedono protagonista nelle dinamiche politiche internazionali. E’ inoltre d’obbligo evidenziare come l’aspetto militare del fenomeno non sia il più coercitivo: l’uomo occidentale si veste, guarda un film, legge un libro, investe in borsa, si sposa, compera e legge un giornale seguendo dettami
imposti dalle logiche imperialiste indipendentemente dal fatto che queste siano coperte da un soldato che imbraccia un fucile o pilota un cacciabombardiere. Tuttavia è altrettanto doveroso constatare come questo aspetto in armi dell’imperialismo, se non il più condizionante, sia quanto meno il più indisponente, quello da cui tutto storicamente ha tratto forza, in seguito a una guerra
perduta. Ancora una volta le logiche mafiose e quelle del capitalismo imperialista si rivelano coincidenti: nei territori in cui le organizzazioni criminali imperversano, il popolo si sottomette alle loro imposizioni e si adegua ai comportamenti che tali strutture dispongono anche senza la pistola
alla tempia. Ma senza armi, senza violenza, senza presidio militare del territorio, tali organizzazioni avrebbero vita meno facile; mutatis mutandis, la presenza militare di truppe d’occupazione in Italia e nei Paesi del cosiddetto “Patto Atlantico” svolge questa funzione; è come se volessero
dirci: “controlliamo già le vostre menti; non vi salti in mente di ribellarvi, che possiamo controllare anche i vostri corpi”. Il saggio di Fabrizio Di Ernesto, che minuziosamente descrive la presenza militare a stelle e strisce in Italia e analizza la funzione geopolitica che tale occupazione militare esercita nel quadro dei conflitti e (quindi) delle dinamiche imperialiste del XXI secolo, svolge pertanto il lodevole compito di ricordarci – dato che si tende a sottovalutarlo, visto che ormai quelli di Roma e di Washington tendono a essere definiti “popoli fratelli”… – la natura impositiva dell’egemonia statunitense sul nostro Paese, un’egemonia che, prima ancora che sul condizionamento culturale e sull’indotta dipendenza economica, ha la sua ragion d’essere in
un fenomeno storico in senso stretto e coloniale in senso classico, e cioè la presenza sul territorio di truppe di occupazione che quivi si trovano in ragione della sconfitta militare dell’Italia nel 1945. E la conoscenza di questo stato di cose – conoscenza che l’Autore ci conferisce la possibilità
di approfondire – aiuta a disincantarsi circa la reale essenza del ruolo che gli Stati Uniti coprono in questa nazione, circa i reali propositi che essi nutrono nei confronti delle nuove aree globali di conflitto e circa la funzione di testa di ponte che le installazioni militari nordamericane nella penisola svolgono per il conseguimento di tali obiettivi. Da cui appunto il titolo,
Portaerei Italia. Il volume analizza la natura e la dislocazione delle principali tra le centotredici tra basi e strutture militari presenti sul nostro territorio, soffermandosi su quelle di maggior rilievo e di più elevata incidenza territoriale, quali Aviano, Camp Ederle, Capo Teulada e Sigonella. Alla descrizione della struttura delle istallazioni e dei sistemi d’arma presenti si affiancano importanti valutazioni sulle ragioni geostrategiche che ne hanno comportato e ne comportano la fondazione, lo sviluppo, l’ampliamento e – in alcuni casi – la dismissione. La storia delle basi d’occupazione in Italia si trova così integrata da valutazioni che inseriscono la loro presenza all’ interno dei mutevoli scenari internazionali, dello spostamento del fronte dalla direttrice ovest/est a quella nord/sud all’ampliamento della Nato verso i Paesi dell’est europeo, più ricettivi e disponibili a ospitare strutture militari sul loro territorio per ragioni di opportunismo politico, di connotazione geografica e di scarsa attenzione alla valutazione dell’impatto ambientale. Analoga attenzione viene rivolta dall’Autore alle fonti legislative e all’ ordinamento giuridico interno e internazionale che regolamenta – o dovrebbe regolamentare, viste la fumosità, la segretezza e la flessibilità di tali norme e protocolli d’intesa – l’attività della presenza militare statunitense e Nato in Italia: a partire dal “Trattato di Pace” postbellico e dallo Status of Force Agreement stipulato a Londra nell’ambito del Trattato nordatlantico, via via in un crescendo di norme atte a incrementare costantemente le limitazioni di sovranità del nostro ordinamento, che giunsero al punto di non poter sanzionare degli avieri americani che, alcuni anni or sono, nel corso di una azzardata manovra aerea eseguita per pura spavalderia, urtarono la cabina di una funivia provocando la morte di decine di persone. L’analisi di Fabrizio Di Ernesto si sposta poi su quello che esaustivamente viene definito il “segreto di Pulcinella”, cioè la dislocazione, presso le principali basi Usa presenti in Italia (presumibilmente Ghedi e Aviano), di decine di ordigni nucleari. Segreto di Pulcinella che richiama terribilmente alla memoria quello dell’esistenza delle bombe atomiche israeliane e che diventa ancor più inquietante alla luce della disinvoltura con cui in queste istallazioni militari vengono effettuate le revisioni e le bonifiche dei materiali esplodenti e pericolosi. Sconcertante è inoltre la sufficienza e il disinteresse che le autorità militari statunitensi e le autorità coloniali italiote dimostrano nei confronti delle rimostranze popolari giustamente preoccupate della presenza di tali dispositivi estremamente letali sul territorio. Proteste di popolo che, come necessariamente constatato dall’Autore, si infrangono contro l’impenetrabile muro della sovranità limitata di cui è vittima il nostro Paese, indipendentemente dai governi e dagli amministratori che negli anni si sono susseguiti. Tale scenario si è mestamente ripetuto in occasione dell’ ampliamento della base Usa di Vicenza. Chiude l’opera la delineazione del ruolo della Sicilia nella dislocazione delle strutture militari d’occupazione, ruolo che assurge al rango strategico per via della collocazione geografica dell’ isola. I progetti nordamericani per la Sicilia prevedono infatti non solo un rafforzamento della presenza militare classica, delle basi e della flotta aeronautica, ma anche l’installazione di due sofisticati sistemi di intercettazione radar denominati AGS e MUOS, basati sulla trasmissione di segnali satellitari a bassa frequenza capaci di attraversare la ionosfera e dislocati rispettivamente a Sigonella e a Niscemi. La lettura di questo testo, lineare ed esauriente, ci porta a conoscenza di un fenomeno cui ormai il popolo è divenuto avvezzo, e che viene erroneamente dato per scontato. Ci svela il terribile volto dell’imperialismo, la sua faccia feroce; ci ricorda che il mostro è nella nostra casa, forte ma non imbattibile. Ci da la consapevolezza che ci occorre per combatterlo, quella consapevolezza che manca in quelle manifestazioni contro le basi in cui sventolano troppe bandiere arcobaleno e multicolori e troppo poche bandiere nazionali, quelle bandiere che sbatterebbero sulla faccia dell’invasore la nostra sacrosanta richiesta di sovranità e di libertà.
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