mercoledì 13 Novembre 2024

2017 mondiale

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Sappiamo cos’è accaduto davvero nell’anno che si conclude nel segno di Spelacchio e nell’eccitazione da imminente prestazione elettorale?

In Italia alimentiamo una cultura provinciale e cialtronesca della politica e non solleviamo mai la testa dalle nostre miserie. Miserie in cui ci compiacciamo di sguazzare e con le quali ci confrontiamo con risposte grossolane pronunciate da strilloni.
Così mentre noi diamo tanta importanza a figure del tutto irrilevanti (la Raggi, la Boldrini); o assolutamente intercambiabili (Renzi, Gentiloni); tutte prive di qualsiasi sostanza, e ci scalmaniamo  nell’avanspettacolo politico di casa nostra, il mondo va avanti e noi restiamo indietro ogni giorno di più.
Non c’è quindi da stupirsi se il barometro dell’intelligenza politica in Italia si trova stabilmente sotto zero. Abbiamo la classe politica mainstream più pressapochista del mondo cui si oppone una serie di  venditori di elisir che non sanno neppure più in che realtà storica e sociale vivano.
Gli uni e gli altri mettono in scena un melodramma di quarta categoria contendendosi il palco e non si accorgono che stanno recitando solo per spettatori ipnotizzati che non si rendono più conto che il reale sta altrove.

Vediamolo allora questo 2017 sotto diverse angolazioni
Mondiale
Europea
Italiana

1. Angolazione mondiale

Il 2017 ha avuto vari protagonisti maggiori: Trump, Macron, Shinzo Abe, Xi Jinping, e ha innescato nuove prospettive strategiche che riguardano anche l’Europa, l’Africa e il Mediterraneo.
Trump ha preteso di rendere in modo più muscolare e prepotente la strategia che Obama stava conducendo in porto con successo. Il suo predecessore aveva abbozzato un  multipolarismo asimmetrico nel quale gli Usa avrebbero dominato i diversi partners. Tra questi, oltre alla Russia (attirata in una rinnovata logica di Yalta) e alla Cina, c’erano anche i soggetti d’importanza economica e diplomatica che Trump invece disdegna ed ignora perché non sono potenze militari. Pretendendo d’imporre la legge della forza a tutti, Europa compresa, Trump si è trincerato dietro un tripolarismo asimmetrico (una sorta di doppia Yalta) con Cina e Russia e, per tenerle comunque  in subordine, si è messo a creare tensione in Corea del Nord e ad armare Kiev, cose che Obama aveva evitato di fare. Da notare che mentre prima la Casa Bianca alzava i toni con il Cremlino ma vi collaborava tranquillamente, proprio ora che ha deciso di distendere i toni e di ufficializzare le cooperazioni si sono verificati i primi intoppi. Questo a riprova che fanno generalmente il contrario di quello che raccontano e soprattutto di quello a cui credete.
Il gioco di Trump riesce in parte perché la cooperazione con i russi è reale in Vicino Oriente (dove gli americani hanno appena posto una nuova base in Siria) e nello scambio di intelligence (Putin ha appena ringraziato gli americani per averli aiutati a sventare un attentato terroristico). Ma va da sé che la Cina si cauteli, che l’Europa sia spinta a cercare una via autonoma, che l’India si senta utilizzata, che il Giappone ne approfitti per armarsi ma si adoperi anche nel distendere con Cina, India e Russia; infine lo strappo di Gerusalemme non ha fatto che togliere simpatie a Washington ovunque. A furia di usare i muscoli Trump sta sfasciando l’opera di decenni di diplomazia e ha riaperto i giochi internazionali.

La Cina annuncia le sue mire

Non se ne parla molto in giro benché sia una notizia d’importanza notevole, ma in ottobre il 19° Congresso del Partito Comunista Cinese ha varato una nuova linea nella quale Pechino proclama di tendere al primato mondiale. Xi ha fatto passare il messaggio che d’ora in poi la Cina agirà come attrice protagonista (e il segnale del golpe in Zimbabwe immediatamente dopo è emblematico), fissando per il 2035 il completamento della modernizzazione militare e per il 2045 la data in cui si ergerà a guida planetaria.
Intanto, a Da Nang, un vertice asiatico in assenza Usa ha fissato gli accordi transpacifici, con gli americani un passo indietro.

L’Europa progetta di ripartire dall’Africa

Alla Cina, in modo ambivalente, guarda anche l’Europa a trazione tedesca. La Merkel ha preso ufficialmente atto della necessità che gli europei debbano fare da soli e, se da un lato apre a cooperazioni di ogni genere, dall’altro propone un intervento industriale, politico e militare europeo in Africa. Questo ragionamento, immediatamente puntellato dalla Ue che ha destinato vari miliardi per lo sviluppo in Africa da parte di imprese europee, è centrale. Perché attesta l’orientamento del capitale continentale e dell’establishment reale a ripartire economicamente in uno scenario post-atlantico ma non soltanto, anche quello d’intervenire in Africa per calmierare e reindirizzare i flussi migratori.
D’altra parte si è preso a parlare di “Europa che protegge”, nel che si sottintende l’intenzione di cambiare registro sull’immigrazione. Bruxelles si schierò contro Roma per l’eccesso di accoglienza e l’Onu si è schierata contro Bruxelles proprio per questo. Ovviamente, come sempre avviene in democrazia, le cose vengono dette con termini diversi al fine di non scioccare. Quel “contrordine compagni” è sostanzialmente sussurrato, anche perché sono in gioco situazioni demografiche e occupazionali del tutto contrastanti.
Il ritorno in forze in Africa è uno dei cavalli di battaglia anche di Macron, con cui stiamo andando in Niger, dopo che abbiamo operato noi, con la classica giravolta a U tipica della politica italiana, per frenare le migrazioni dalla Libia che avevamo suscitato fino alla vigilia.

L’Europa si vuole protagonista

Che non si tratti solo di una bizza francese ma di un orientamento strategico lo conferma la firma della PESCO per la cooperazione militare, propedeutica all’esercito europeo, accordo che ci vede sostanzialmente estromessi, una volta di più per colpa nostra e delle nostre furbizie che non pagano.
Fatto sta che il dato saliente del 2017 è la decisione europea di prendere in mano i propri destini e di emanciparsi dalla tutela americana. Il discorso è bilaterale perché gli Usa hanno voltato comunque le spalle all’Europa, puntando al Pacifico. Il G7 di Taormina è stato incentrato proprio sulla resilienza statunitense e sull’assertività della Merkel. La quale ora è depotenziata dal governo tedesco che non riesce a formare, ma chi s’illude (poi perché non l’ho mai capito) che questo stallo sia propedeutico a un cambio di linea politica da parte del futuro Cancelliere che porterebbe a un ridimensionamento della Germania, sbaglia di grosso. Perché sono gli interessi concreti degli uni e degli altri che impongono un’emancipazione europea.

Il vespaio vicino casa

Il Vicino Oriente è il nostro attuale tallone di Achille. Qui si sono arrangiati per un controllo da parte turca, iraniana e russa, con partecipazioni curde e wahabite.  Nel divide et impera gli americani si sono illustrati riuscendo a mettere sauditi contro qatarioti, a impugnare i curdi e a usarli su più sponde, a creare problemi interni alla stessa Arabia Saudita dopo aver ottenuto che si scontrasse con l’Iran. All’Iran apparentemente sono finiti l’Iraq, il Libano e la Siria, ma le varie fazioni sciite o pro-iraniane non sono così monolitiche. Intanto gli americani hanno posto basi, soprattutto in Siria la cui normalizzazione, con compensazioni a tutte le parti in causa, è prevista dopo delle elezioni che dovrebbero sancire un cambio almeno parziale di regime.
Il problema di tutti noi europei è che ora il Vicino Oriente è diventato per noi una base d’invasione demografica che può essere calmierato solo dalla Turchia.

Da festeggiare

La somma degli eventi e la sintesi delle tendenze del 2017 ci danno come assoluta positività che, pur sempre all’interno del capitalismo mondiale in cui tutti si versa, nelle trasformazioni di fase strategica, sta finalmente nascendo un embrione di Europa, e non mi riferisco agli accordi mercantili, federali e democratici del feticcio di facciata di Bruxelles. Questa notizia che è da festeggiare seriamente, consente anche di essere ottimisti nel prosieguo. Infatti se Trump non cambia politica, costringerà un gigante economico ma nano militare (l’Europa) a doversi attrezzare. Ma al tempo stesso c’è un gigante militare che è un nano economico (la Russia) al quale vengono sottratte le sponde necessarie. Ciò in teoria dovrebbe spingere i due soggetti ad intendersi. Non parlo di questo o quell’uomo politico ma di necessità sistemiche comuni. La Russia nel tripolarismo è perdente perché gli altri soggetti, Cina e Usa, sono entrambi giganti economici e hanno spazi vitali molto più coesi. Se resta chiusa in questa forbice, Mosca è perduta. L’Europa non potrà mai ottenere la forza militare necessaria per competere con gli altri players, ma un’intesa strategica, come quella che si era iniziata a delineare nel 2001, può modificare tutto. Solo che molte cose devono cambiare nei reciproci atteggiamenti e più da parte russa che da parte europea, se Mosca non vuole continuare ad essere paralizzata da Londra che aizza gli ex sudditi sovietici contro i loro ex dominatori e che proseguirà facilmente a farlo se i russi continueranno a guardare ai loro antichi possedimenti con l’atteggiamento abituale.

L’enigma inglese

Infine la Gran Bretagna. La sua Brexit per ora è un enigma. Non si è ancora consumata ma, al netto dei salassi subiti, che possono anche essere fattori d’assestamento, è proprio politicamente che gli inglesi hanno perso molto terreno, paradossalmente anche nei confronti degli Stati Uniti e se la loro intelligence, specie da Cambridge, resta maestra nella strategia della tensione e nell’influenzare “sovranismi” e posizioni anti-Euro, per la prima volta nella loro storia s’interrogano se staccarsi dall’Europa non sia in realtà controproducente.

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