La matrjoska è una bambola russa formata da più bambole di dimensioni differenti, contenute le une nelle altre. Se si osserva la più grande non si notano quelle che contiene; possiamo dire quindi che la matrjoska esprime una realtà a più livelli che non si percepiscono immediatamente.
Come allegoria della realtà odierna è calzante.
La prima bambola
La bambola più esterna, e perciò visibile in vetrina, è quella che corrisponde alla rappresentazione ufficiale, alla narrazione politica dei conflitti. A questo livello si riassume il tutto a scontri Est-Ovest; Sud-Nord; Nato-Russia; Usa-Cina; Israele-Hamas.
Eppure sono almeno otto decenni che questo tipo di narrazione è ingannevole in quanto esaspera gli aspetti di contrasto tra poli o blocchi, assicurando così la tenuta dello status quo e la gestione delle singole opinioni pubbliche che si compattano nei confronti del rispettivo “male assoluto”.
Ma nella realtà i rapporti, utilizzando una felice formula di Lenin, sono determinati dalla legge di “unità e scissione” e questo fa sì, come ci insegna proprio la Guerra Fredda, che gli interessi che le potenze contendenti hanno in comune a scapito dei loro alleati siano perfino prevalenti rispetto a quelli li separano. Ognuno ha bisogno dell’altro per poter meglio dominare il suo campo.
Pertanto, oggi come allora, più che i confronti tra Usa e Russia o tra Russia e Nato, le operazioni principali sono quelle che gli Usa compiono, o affidano ad altri, ai danni dell’Europa; quelle condotte dalla Cina per fagocitare la Russia; quelle che riguardano l’ascesa indiana in contesa con la Cina, eccetera.
La seconda bambola
Se la estraiamo dalla prima bambola, ne troviamo una seconda che ci dimostra proprio questo e che nessuna delle ragioni addotte a giustificazione dell’invasione dell’Ucraina o a spiegazione della condotta della reazione occidentale, aderisce perfettamente alla realtà. Una realtà che su tutti i fronti – economico, energetico e geopolitico – dimostra che gli Usa stanno guadagnando a palate dall’azione russa e che l’obiettivo effettivo è l’Europa: un’Europa troppo ambiziosa per i gusti americani sui piani commerciale e diplomatico e a cui Washington non intende concedere eccessivo peso nel reset mondiale.
Quanto poco interessi agli americani danneggiare la macchina militare russa lo provano i dati oggettivi che dovrebbero farci riflettere su come sia impropria la definizione di mondo “multipolare” e più calzanti siano quella americana di “interdipendente” e quella indiana di “multiallineato”.
Secondo la relazione aggiornata a dicembre 2023, ovvero ventuno mesi dopo l’avvio del conflitto, l’armamento russo consta di 2811 componenti, di cui solo 14 russe, 790 straniere – di cui nemmeno 150 dei suoi “alleati” – e ben 2007 americane, ovvero il 71,39%. Peraltro, come documentato da numerosi analisti americani, che a prima vista vanno contro i loro interessi, perfino i missili di nuova generazione più sofisticati dell’arsenale russo dipendono dalla Silicon Valley. Uno strano modo di farsi la guerra.
Si nota quindi senza possibilità di errore che il conflitto è finora servito nel reset e ha danneggiato noi. Una guerra, ricordiamolo, scatenata dalla Russia che, volente o nolente, complice o furbetta, nella logica di “unità e scissione” finora ha giovato solo agli americani.
La terza bambola
Poi c’è una terza bambola. Quella che si riferisce al contenzioso finanziario attraverso cui il “Sud globale” punterebbe alla dedollarizzazione.
La realtà per ora esprime ben altro.
Il Pil americano nel 1946 corrispondeva al 50% del Pil mondiale. Grazie anche alla crescita delle altre economie, il rapporto è calato anno dopo anno fino al 2021 quando rappresentò il 21% del globale. In due anni di conflitto ha recuperato ben quattro punti ed è risalito al 25%.
In quanto alle transazioni nei mercati mondiali, elemento fondamentale del dominio monetario, stando all’ultimo rapporto della BRI (Banca Regolamenti Internazionali) sugli oltre settemila miliardi giornalieri di movimenti, il Dollaro era presente nell’88% dei casi. Seguivano l’Euro con il 31%, lo Yen con il 17%, la Sterlina con il 13% e il Renminbi cinese con appena il 7%. Tra queste, solo il Renmimbi è valuta dei BRICS. Ovviamente le transazioni avvengono anche tra più valute, quindi non si devono sommare queste percentuali perché così facendo la somma darebbe 156 ma sarebbe frutto di un errore d’impostazione.
Dobbiamo considerare infine che i titoli del tesoro americano si trovano in buona parte nelle mani asiatiche, soprattutto cinesi e giapponesi e questo, nella logica finanziaria, lega Tokyo e Pechino alla potenza del Dollaro forse più di Washington. Nessun creditore mira a far fallire il suo debitore e neppure a svalutare la sua moneta.
La quarta bambola
Qui troviamo le logiche del capitale globale.
Avrete notato che, pur con qualche blocco temporaneo – che è però intervenuto sui prezzi – il grano continua a uscire dai porti ucraìni malgrado la flotta russa. Gli interessi globali possono essere contesi, ma non aggirati.
La guerra contribuisce alle trasformazioni in corso. La rivista francese Conflits, fornendo il quadro dell’ascesa strategica degli Emirati Arabi, fa anche notare come essa abbia sospinto fiumi di capitali russi ed ucraìni nell’immobiliare di Dubai.
Ma, restando al grano, ne acquistiamo anche più del dovuto dall’Ucraina nell’intento di aiutarla e, cosa senza molto senso, facciamo incetta di polli. Potremmo benissimo comprarglieli ma lasciarli lì per la consumazione locale. Invece ci siamo messi a fare concorrenza in casa nostra ai nostri allevatori che in diverse nazioni europee sono al fallimento.
È una follia, ma rientra nella logica del reset in quanto con il libero mercato difeso soprattutto dalle più forti economie esportatrici, che sono l’europea e la cinese, si cade nella logica delle specializzazioni locali e alcuni settori agricoli sono considerati una palla al piede, a differenza di altri, come la viticoltura, su cui si punta anche nell’export.
Sicché un’Europa già trascinata in guerra e ostacolata dall’interesse russo e americano, si fa male da sola internamente perché, non di meno degli altri, è prigioniera di una logica di sfruttamento capitalistico che si rivela suicida.
In conclusione
Tutto questo per dire sostanzialmente tre cose:
- Le rappresentazioni della realtà a cui siamo abituati sono tutte false o falsate ed è necessario assumerne una seria, concreta, reale.
- Gli elementi positivi che possiamo cogliere dalla guerra di Ucraina sono la presa di coscienza europea della necessità di riarmo e dell’acquisizione di autonomia strategica. Cui aggiungerei soprattutto il recupero del sentimento patriottico e contemporaneamente europeo e della guerra nazionale, qualcosa che, in un’epoca in cui le ideologie sono state sostituite da fondamentalismi religiosi, fanatici e psicotici, può rivelarsi feconda.
- Se è totalmente assurdo, suicida, demenziale, non sostenere sempre e comunque gli interessi europei, la nostra unità, e non puntare alla nostra potenza, non dobbiamo dimenticare che, al tempo stesso, non solo non possiamo contare sull’attuale nostra classe dirigente, ma dobbiamo contrapporre un modello culturale molto diverso da quello dominante e produrre la fuoriuscita dalle gabbie interne che ci siamo imposti per servire il libero mercato rivolto all’estero. Non si può ragionare solo con la logica contabile perché spesso è miope.