venerdì 13 Dicembre 2024

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Cosa significano le affermazioni del Papa sulla nostra epoca

           Il Papa ha attaccato, a ritroso, la Rivoluzione Francese perché condusse alla dittatura del razionalismo. Ha allargato e allungato la critica affermando che oggi si registra una sorta di “dittatura del relativismo” prodotta da un “preoccupante processo di secolarizzazione determinato dall’Illuminismo”. E, sempre per Benedetto XVI, “la società attuale appare tanto simile a quella della Rivoluzione Francese”.

 

Precisa Guy Coq

 

Il filosofo cristiano Guy Coq gli ribatte da Oltralpe. E’ interessante leggere quello che afferma nell’intervista rilasciata al Messaggero e cioè:

Prima ancora del relativismo credo che la Chiesa dovrebbe temere l’individualismo e il dogmatismo, sono queste posizioni oggi a minacciare davvero la società. Mi pare invero che il problema delle nostre società sia quello di giustificare o riconoscersi in valori comuni. La tendenza è piuttosto quella di assolutizzare i propri valori. In Francia, ad esempio, filosofi considerati edonisti sono molto dogmatici e non si sognano nemmeno di relativizzare e sostenere che tutte le posizioni si equivalgono. Credo che sarebbe stato meglio che dicesse che il vero problema delle nostre società è una forma sempre più esasperata di individualismo. I suoi strumenti di analisi non mi paiono del tutto pertinenti. Il relativismo non spiega le vere crisi che oggi minacciano la nostra società, non spiega per esempio il fenomeno dell’integralismo”.

Mi sembra importante sottolineare le precisazioni di Coq, che condivido pienamente, perché quello che afferma il Papa è chiaramente viziato da almeno due questioni di fondo. Questo non avviene, si badi bene, per superficialità, per ignoranza o per non-coscienza del Pontefice che è pensatore e osservatore di grande rilievo, ma perché la sua è una lettura ideologico-teologica ben precisa che, come ogni lettura ideologico-teologica, forza la realtà fino a snaturarla.

 

Ma è Nouvel Ancien Régime

 

Partiamo dal livello più tangibile, quello della realtà storica, sociale e culturale in cui viviamo. E’ assolutamente improprio sostenere che essa sia simile a quella della Rivoluzione Francese. Il modello di ricomposizione, perseguito insieme da tutte le oligarchie confessionali, laiche, ideologiche e massoniche, è quello del Nouvel Ancien Régime. L’età d’oro cui si rifanno i paria della globalizzazione è quella della Santa Finanza dei Rothschild, fasti che vorrebbero rinverdire riproponendo all’uopo dogmi e tendenze assolutistiche e moralistiche. Allora non fu solo la Chiesa cattolica a fare da soppalco all’Internazionale bancaria ma dovette condividere sia il peso che i vantaggi dell’impresa con le chiese protestanti, l’ortodossa e le massonerie, al punto che i principali ideologi e gendarmi dell’ordine internazionalista creato dopo la disfatta di Napoleone furono di estrazione liberale.

Oggi accade esattamente lo stesso, tant’è che i principali ideologi e gendarmi del global sono di estrazione comunista o “progressista”. Questo il Papa non può ignorarlo come non può non rendersi conto che il grande problema oggi è il pensiero unico con la sua intolleranza e la sua ininterrotta tavola di divieti.

 

Quello non è relativismo

 

Se andiamo poi all’impianto filosofico, anche qui c’è da ridire. Con buona pace di tutti quelli che confondono il tradizionalismo con l’immobilismo o di coloro che avranno creduto di cogliere analogie con il pensiero evoliano. O meglio con l’aspetto dogmatico-schematico-analitico del pensiero evoliano che ne rappresenta la parte più discutibile, incerta, imprecisa e zoppicante e che non a caso è quella che maggiormente piace alla destra terminale, così distratta invece sulla metafisica esistenziale guerriera e sulle percezioni eroiche della sua opera e della sua vita.

Quello che il Papa contesta alla Rivoluzione Francese non è infatti il suo impianto bensì il fatto di aver preteso di compiere un’opera di sostituzione scalzando la Chiesa e annullando l’idea di una necessaria mediazione verso Dio. Questo non è relativismo: semmai è titanismo o atomismo o rivolta dell’indifferenziazione che rifiuta ogni forma. Siamo, anche e non solo in questo contesto, all’antico dia-ballein (separazione, cesura) da cui deriva “diavolo”. Ma non si è nel “dia-ballein” solo così. Lo si è sia quando si rifugge dall’Assoluto che quando si pretende di sostituirlo con una parte.

 

L’Assoluto

 

L’Assoluto, nella percezione metafisica dei nostri popoli, da millenni e millenni si sente, si riconosce, si considera come origine e fine, e si cerca di ricongiungersi ad Esso. Non seguendo dogmi, divieti, moniti e pensieri unici di qualsiasi genere, bensì nella trasfigurazione mistica che, per restare nell’ambito del periodo cristiano, si può raggiungere nella contemplazione, come Meister Eckhart, o nel servizio, come San Bernardo. Ma non esiste una via all’Assoluto, esistono molte vie all’Assoluto, tante quanti sono gli archetipi e forse anche di più.

Relativismo? Sì, nel senso del rispetto e della cultura delle ineguaglianze umane, no se parliamo invece di una parte che afferma se stessa negando tutte quante le altre. Come hanno fatto i quattro relativismi che hanno preteso di presentarsi come assoluti (guelfo, giacobino, democratico, comunista) e, assolutizzandosi, hanno negato e negano la libertà, la vita, lo spirito e la trascendenza.

Il tutto è avvenuto per una sorta di inversione automatica: quando una via tende a confondersi con una meta, un mezzo con un fine, si ha usurpazione, si ha rovesciamento e la via si trasforma in un cul de sac.

Non esiste la via, ognuno ha la sua via. Verso una meta unica che poi è lo stesso punto d’avvio.

Questa è la base della metafisica dei nostri padri, una metafisica antica quanto la nostra presenza sulla terra, e che si riversa nel Cristianesimo a frenare, limitare, le intolleranze proibizionistiche e le inversioni spirituali di stampo vetero-testamentario. Ma si tratta di un Cristianesimo ghibellino che, sotto la protezione dell’immagine assiale di chi detiene l’Imperium, vede convergere le forze, le energie, gli spiriti “ad altum” senza che alcuno degli elementi sia frantumato, irrigimentato, mortificato, polverizzato, da una ortodossia codificata che, per natura, non può che comprimere, deprimere e reprimere.

 

Il servitore per il padrone

 

Il Papa tutte queste cose le sa bene, come sa che non è stata di certo la Rivoluzione Francese a secolarizzare la società e men che meno la Chiesa. Questa si era secolarizzata addirittura sin dal IV secolo quando, impadronitasi dei vertici dell’Impero Romano, si propose come potenza terrena e al tempo stesso impose una divisione dei piani fisico e metafisico allontanando così dall’immediatezza al Sacrum la società che volutamente condusse al dis-incanto.

Egli sa pure che l’Ecumene non lo hanno distrutto i giacobini ma, molti secoli prima, i guelfi e sa perfettamente che oggi non abbiamo da temere i Robespierre ma i Wellington e i Rothschild di turno. Ma da guelfo parla guelfo. Nemmeno la critica al giacobinsmo è, quindi, la stessa che – sommaria o meno, superficiale o no – fu mossa a suo tempo da Evola e dai principali esponenti della Rivoluzione Conservatrice.

E ora aspettiamoci dai destri terminali tanti peana in favore del Papa: a sbagliare tempo e a fraintendere uomini, frasi, strategie e volontà sono bravissimi. Peccato che il nemico oggi non sia il giacobinismo, praticamente morto, ma la nuova restaurazione che ha accolto nel suo grembo anche le propaggini giacobine e quelle comuniste; cerchiamo di non ingannarci scambiando il servitore per il padrone, sarebbe imperdonabile.

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