sabato 27 Luglio 2024

Bagdad, ancora orrori e torture. I detenuti segreti di Rumsfeld

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Nuove accuse al ministro della Difesa: autorizzò detenzioni mai registrate. La storia di un sospetto dimenticato in carcere. L’obiettivo era rendere il detenuto “invisibile” alla Croce Rossa.
I generali “critici” venivano prontamente rimpiazzati

Dagli armadi della Casa bianca il fuggi fuggi di scheletri sembra ormai generalizzato. Segreti ermetici cominciano a svaporare e nella scala delle responsabilità si arriva sempre più in alto, sino a scoprire che l’idea dei “detenuti fantasma” era stata controfirmata da Donald Rumsfeld in persona. Era stato il ministro della difesa, su richiesta del direttore uscente della Cia George Tenet, ad autorizzare che il “Prigioniero Tripla X”, un presunto alto esponente del gruppo terroristico Ansar Al Islam, fosse tenuto dentro senza registrazione, per renderlo invisibile ai controlli della Croce rossa internazionale.

Le generalità dell’uomo, il primo di una serie che potrebbe rivelarsi lunga, ancora non si conoscono. Si sa invece che è stato rinchiuso a Camp Cropper, il penitenziario di massima sicurezza vicino all’aeroporto di Bagdad, da novembre scorso a oggi. E da allora – nonostante sia accusato di “conoscere la struttura, le tecniche e i campi di addestramento di Ansar Al Islam” – è stato interrogato una sola volta. Il resto del tempo l’ha passato in isolamento, sino a 23 ore al giorno, per 7 mesi abbondanti. Solo due settimane fa, quando ormai lo scandalo delle torture minacciava anche i piani alti dell’Amministrazione Bush, Stephen Cambone, uno dei principali consulenti di Rumsfeld, ha chiamato la Cia affinché regolarizzassero la situazione e trasformassero da “fantasma” a “persona”, con tutti i diritti che ne discendono.

La vicenda di “Tripla X” è l’ultimo tassello di un puzzle che, componendosi, imbarazza la Casa bianca e polverizza la tesi che gli abusi di Abu Ghraib fossero atti isolati opera di poche “mele marce”.

Non è più un segreto che nella scelta di Guantanamo all’indomani dell’11 settembre un peso importante lo giocò il fatto che il dipartimento di giustizia (dicembre 2001) suggerì che là, forse, i tribunali Usa non avrebbero avuto giurisdizione. Gli stessi esperti legali che, un mese dopo, sostennero che nella guerra ad Al Qaeda la convenzione di Ginevra diventava facoltativa. E che, nell’agosto 2002, compilarono un memorandum di 50 pagine per la Casa Bianca in cui argomentavano che ogni limitazione imposta dal diritto internazionale era superata dai poteri di guerra del Presidente. Due mesi dopo il troppo morbido generale Rick Baccus veniva rimpiazzato da Geoffrey Miller come capo della base di Guantanamo con una consegna precisa: rendere la vita dei prigionieri “meno confortevole”.

La divisione di compiti tra polizia militare (addetta a mantenere un ambiente sicuro e vivibile) e intelligence militare (incaricata degli interrogatori) saltò, a tutto vantaggio della seconda. Lo schema poi replicato, con i noti risultati, ad Abu Ghraib.

A dicembre 2002 Rumsfeld autorizzò esplicitamente l’uso di tecniche più aggressive per gli interrogatori di alcuni degli internati nella galera cubana. Dopo alcune settimane, anche per l’opposizione di alcuni generali come James Hill, il regime duro venne revocato. Per essere reintrodotto nell’aprile del 2003, sulla scorta di un nuovo rapporto del Pentagono che sembrava fornire base legali alle “stress techniques”.

“Non c’è il benché minimo spazio per la tortura – ha ribadito lunedì scorso Rumsfeld – nella mente del Presidente o nella mia”. Quando il fango dello scandalo aveva già imbrattato i muri immacolati della Casa bianca.


di RICCARDO STAGLIANO

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