sabato 27 Luglio 2024

Bianchi avvoltoi

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Sempre più numerosi gli infermieri che uccidono i pazienti. E andrà sempre peggio con il traffico di organi e le leggi sulle donazioni.

Sono chiamati a difendere la vita ma, talvolta, portano la morte. Frequentano da anni le corsie, hanno una consuetudine con la sofferenza, sono medici o infermieri ma forse dovrebbero essere annoverati tra i pazienti. Nella loro mente tanto dolore provoca sconquassi. Forse cercano una risposta, per quanto assurda, alla perdita di speranza. Forse sono solo pedine dei propri fantasmi. Non è la prima volta che un camice bianco diventa serial killer: una patologia (o crimine secondo i punti di vista) tipica, si ripete con modalità analoghe in paesi diversi ma in contesti simili, gli ospedali appunto. La casistica annovera autentici recordman come Harold Shipman, apprezzato professionista britannico, occhialetti e barbetta da medico umanista, capelli bianchi, sposato e padre di quattro figli. In 23 anni ha ucciso 215 pazienti con iniezioni di eroina e morfina. Non ha mai spiegato i motivi delle sue gesta. All’inizio di quest’anno ha portato a termine il suo ultimo omicidio, si è impiccato in una cella dello Yorkshire.
In un libro intitolato ”Le mie confessioni” l’infermiera Christine Malevre, 28 anni, in forze in un ospedale parigino, riconosceva di aver «aiutato a non soffrire più e ad andarsene in pace» diversi pazienti iniettando nelle loro vene massicce dosi di antidolorifici. Il suo macabro conteggio ammetteva otto casi anche se la giustizia l’ha sospettata di una trentina di omicidi compiuti per via endovenosa nel giro di pochi mesi, tra il ’97 e il ’98: in primo grado condanna a dieci anni. E’ andata peggio a Lucy De Berk, spedita all’ergastolo nel marzo 2003 da un tribunale dell’Aja, sue vittime preferite i vecchi e i bambini, i pazienti più deboli, li finiva con cocktail di morfina e potassio. Anche l’ungherese Timea Faludi è entrata di diritto nella sinistra schiera degli angeli neri: per la sua capigliatura corvina, per gli abiti scuri ma soprattutto perché nei reparti dove lavorava come infermiera i lutti si moltiplicavano. Era spinta a uccidere da una sorta di compulsione, ha spiegato la 41 enne nurse. Il tribunale di Budapest l’ha riconosciuta colpevole di quattro dei tredici omicidi che l’avevano portata l’anno scorso davanti ai giudici e per i quali sta scontando nove anni.
L’”angelo della morte” romano si chiama Alfonso De Martino, infermiere, responsabile di aver somministrato a tre pazienti, tra il ’90 e il ’93 in un ospedale di Albano, flebo al curaro. Sta scontando l’ergastolo. «Sono malati di onnipotenza spiega lo psicoanalista David Meghnagi si sostituiscono a Dio, si arrogano il diritto di somministrare la morte ai propri simili. Persone troppo a lungo a contatto con la sofferenza e incapaci di elaborarla. Ci vorrebbe maggiore sostegno psicologico negli ospedali». In altri casi qualche medico, ricorrendo a volte ad azioni plateali, si è battuto per la legalizzazione dell’eutanasia: come Jack Kevorian, nel ’98 negli Stati Uniti ha ucciso davanti alle telecamere un paziente consenziente. E’ stato incriminato per omicidio. L’italiano Giorgio Conciani fu invece radiato dall’albo dei medici, prescriveva ai malati senza speranza farmaci capaci, in dosi massicce, di provocare la morte. Era un convinto sostenitore del diritto di morire. Quando ha saputo di essere gravemente ammalato, nel 1997, si è impiccato a una trave di casa.

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