Una sentenza della Cassazione stabilisce che è un diritto del privato cittadino difendere la sua proprietà o quella d’altri bloccando il malvivente in fuga. In questo modo viene punito un borseggiatore extracomunitario che aveva denunciato la sua vittima per averlo trattenuto dopo il furto. L’iper-garantismo degli ipocriti subisce una battuta d’arresto
Roma– I privati cittadini hanno il diritto di difendere la loro proprietà e quella di terzi dagli attacchi dei malfattori. Quindi, i ladri possono essere inseguiti e bloccati anche se si sono liberati del bottino e se il reato compiuto prevede solo l’arresto facoltativo da parte della polizia giudiziaria. Lo ha stabilito la Cassazione che, con la sentenza 37960 ha dichiarato “inammissibile” il ricorso di Moustapha O., un borseggiatore extracomunitario.
Il ladruncolo aveva rubato il portafogli a una giovane bolognese, ma lo aveva subito gettato a terra perché si era accorto che un passante, Marco S., lo aveva visto.
Tuttavia, nonostante il bottino fosse recuperabile, Marco S. si era dato all’inseguimento del ladro, lo aveva agguantato e lo aveva trattenuto, fino all’arrivo della polizia. Che dopo l’identificazione aveva proceduto all’arresto.
Secono Moustapha O., però, l’intervento del passante era stato “illegittimo”, perché “per il furto aggravato non è concessa al comune cittadino la facoltà di arresto”. Ma la Suprema Corte ha del tutto disatteso questo punto di vista, affermando che “il privato, pur se non ricorrono le condizioni previste dal combinato disposto degli articoli 383 e 380 cpp, e quindi anche se non ha la facoltà di procedere all’arresto in flagranza”, ha tuttavia “il diritto di difendere la sua proprietà e quella dei terzi dagli attacchi dei malfattori”, e quindi di inseguire un ladro al fine di recuperare la refurtiva e di consentirne l’identificazione e l’eventuale arresto”.
Sulla scia di questo principio di diritto la Cassazione ha reso definitiva la condanna a tre anni e un mese di reclusione, oltre 600 euro di multa, nei confronti dell’extracomunitario, confermando la sentenza già emessa, nel 2003, dalla Corte d’appello di Bologna. Non ha avuto quindi nessun successo “la tesi difensiva che vorrebbe addirittura criminalizzare l’encomiabile operato di un soggetto intervenuto in difesa di un diritto altrui”.
(27 settembre 2004)