Le ‘nuove’ cartolarizzazioni possono portare allo stesso risultato delle ‘vecchie’: la crisi.
Abs, Rmbs, Cdo. Le sigle che ai tempi del collasso di Lehman Brothers e Bear Sterns facevano tremare la finanza mondiale sono tornate in grande stile, mentre il dibattito sulle regole della finanza resta, appunto, un dibattito. Qualche numero per rendere l’idea: le cartolarizzazioni fatte da banche e istituzioni finanziarie, a livello globale, sono state nel mese di luglio scorso pari a 49 miliardi di euro contro i 54 miliardi di euro del luglio del 2008, prima del crac di Lehman. E contro i 51 miliardi di euro del luglio 2007, prima del «credit crunch», della crisi di fiducia tra le banche che ha innescato la crisi prima finanziaria e poi diventata globale.
Ma cos’è una cartolarizzazione? «Cartolarizzare» significa prendere un credito che garantisce un incasso futuro dilazionato nel tempo, ad esempio le rate di un mutuo. Venderlo ad un nuovo soggetto che chiameremo XXX srl che incasserà le rate e prendere subito tutti i soldi, che serviranno per dare altri mutui. La XXX srl a sua volta emetterà dei titoli (obbligazioni) che venderà sul mercato. Lo sanno bene gli italiani che hanno un mutuo sulla casa: nei mesi scorsi, molti di loro si sono visti recapitare a casa una lettera che gli annunciava che a riscuotere le rate sarebbe stato, da quel giorno in avanti, non più la banca ma una nuova società. Per chi ha preso il mutuo non cambia niente, precisano queste lettere, ed è vero. Passata la paura, questo tipo di operazioni torna in auge: nelle ultime settimane sono tornati gli investitori istituzionali per tre emissioni di Abs (asset backed securities, titoli garantiti da prestiti) europee: Volkswagen, i supermercati britannici di Tesco e Lloyds banking group, che hanno cartolarizzato e venduto sul mercato 2,9 miliardi di sterline di mutui immobiliari.
Una premessa: le cartolarizzazioni servono. Lo dicono i banchieri, ma lo dicono anche i regolatori, dalla Bce al Financial Stabity Forum guidato da Mario Draghi. In Italia queste operazioni vanno per la maggiore: nell’ultimo anno e fino a oggi le banche italiane hanno cartolarizzato poco meno di 100 miliardi (cento miliardi) di euro di mutui e altri crediti. Novantasette miliardi e 36 milioni, per essere precisi. La parte del leone l’hanno fatta, ovviamente, le due banche principali. Unicredit oltre 27 miliardi e Intesa Sanpaolo 24,5 miliardi. Dietro, tutte le altre. Ma proprio tutte (vedi il grafico sopra). Va detto che il mondo è cambiato, in questi due anni di crisi. E mentre prima i titoli emessi venivano venduti ad investitori istituzionali, che a loro volta li rimpacchettavano e li rivendevano in altre forme, all’infinito, con i risultati che abbiamo visto. Adesso è la banca stessa che li riacquista, per darli in garanzia alla Bce a fronte di nuova liquidità. È una situazione di emergenza, decisa dalle banche centrali nel piano della tempesta. Ma quando la tempesta finirà, cosa succederà? Che fine faranno quei cento miliardi di euro di titoli emessi dalle banche italiane? Finiranno sul mercato, è la risposta unanime degli esperti contatti da La Stampa per questa inchiesta. «Nel momento in cui la Bce interrompesse il meccanismo, o questi titoli vanno sul mercato, agli investitori istituzionali, oppure ci sarà una nuova crisi di liquidità», spiega un analista di una primaria isitituzione finanziaria.