sabato 27 Luglio 2024

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Il presidente venezuelano Chavez sfida i parassiti del petrolio. Un braccio di ferro audace, degno dell’eredità di Cervantes.

Dall’1 al 16,66 per cento di tasse in più: è l’aumento che Chavez ha imposto nei giorni scorsi alle multinazionali che estraggono petrolio in Venezuela. In particolare, a quelle situate lungo la fascia orientale dell’ Orinoco, che produce circa 600mila barili di greggio al giorno.


“Con gli attuali prezzi del greggio -ha detto Chavez- le multinazionali petrolifere stanno facendo la fila per investire in Venezuela. Non c’è più motivo, quindi, di tenere così bassi i guadagni per lo Stato”.


“Il 16 per cento di tasse non è una novità”, spiega Margarita Lopez Maya, storica e ricercatrice presso la Universidad Central del Venezuela, a Caracas. “Era quello che già imponeva la legge degli


idrocarburi del ’43. Negli anni 80, si passò all’1 per cento, perché era necessario favorire le multinazionali in un momento economico difficile per i Paesi esportatori di petrolio. Oggi, al contrario, di fronte ad una congiuntura favorevole, non c’è più ragione per concedere sconti


fiscali agli investitori stranieri. Così siamo tornati alla vecchia legge del ’43, perché lo Stato guadagni di più e di reinvesta i soldi in progetti sociali”.


“Questa misura -continua- non arriva come un fulmine a ciel sereno: è il frutto di un’intensa negoziazione con le multinazionali, che come contropartita hanno ottenuto nuovi contratti. Oggi il Venezuela è uno dei paesi più sicuri per investire nel petrolio. E’ anche quello che vanta la più lunga tradizione di relazioni tra stato e industria degli idrocarburi. Abbiamo un secolo di politica del petrolio. Negli anni 50 abbiamo fatto scuola persino ai Paesi arabi. C’è un secondo vantaggio in


questa legge: l’imposta del 16 per cento non è una tassa sui guadagni, che sarebbe molto complesso stabilire e troppo semplice evadere. E’ calcolata invece sul volume di greggio estratto e sul prezzo del petrolio. Per la sua semplicità, permette allo Stato di contare su un ingresso annuale stabile”.


E l’opposizione? “Come sempre, è contro”, risponde Margarita Lopez. “Si è sempre detta contraria a questa politica del petrolio. Forse, per partito preso, perché in realtà, è difficile non condividere una


politica che va a vantaggio del Paese. Con il petrolio stiamo finanziando l’educazione e la salute. E con le eccedenze di bilancio (quello del 2003 era stato calcolato con il petrolio a 20 dollari al


barile), i piani di alfabetizzazione: le ‘misiones’ Ribas, Robinson , Vuelvan Caras … Il tutto – va ricordato – avviene mentre nel 2002, dopo lo sciopero e il golpe, l’economia era a pezzi”. “La politica petrolifera di Chavez – aggiunge la Lopez – ha rafforzato lo Stato e l’industria estrattiva. Non a caso, oggi il segretario dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi Produttori di Petrolio, è un venezuelano. Se dopo lo sciopero e il golpe, Chavez fosse stato destituito, oggi il Venezuela avrebbe la stessa politica petrolifera degli anni 80-90, che consisteva, fondamentalmente, nell’autonomia delle imprese rispetto allo Stato. Sarebbe stata dettata più dai tecnocrati di Pdvsa, l’impresa nazionale di idrocarburi, che dallo

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