Walter Otto, Epicuro, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2001, pp. 134, euri 10,32
Pare che a Walter Friedrich Otto “stia toccando lo strano destino di essere più noto in Italia che in Germania”, ha scritto G. Moretti, curatore dell’edizione italiana di un saggio del filologo e storico delle religioni tedesco.
In effetti, già agli inizi degli anni Quaranta la pubblicazione degli Dei della Grecia presso la Nuova Italia richiamò su Walter Otto l’attenzione di diversi esponenti della cultura italiana. Sulla “Critica”, la rivista liberale diretta da Benedetto Croce, apparve nel 1942 una recensione di sette pagine fitte, siglata A. O. (Adolfo Omodeo), in cui veniva accusato l’atteggiamento “apologetico-polemico” e “decadentistico e assurdo” di Walter F. Otto. “Siamo di fronte alla frenesia consueta presso i tedeschi per il primigenio, alla voluttà d’inabissarsi e perdersi nella voragine oscura (..) a un delirio di reinvoluzione deleterio per tutta l’opera umana, anche se si vagheggiano eleganze e bellezze elleniche. Un misticismo sordido nasce da tutte queste elucubrazioni. Questo misticismo che non sorge dallo sforzo di esprimere una più alta verità, ma dall’abiura della ragione (..)”. E così via, su un tono che sembrava anticipare il Lukács della Distruzione della ragione.
Ben diversa l’accoglienza che nello stesso anno il libro di Otto trovò sulle pagine di “Bibliografia Fascista”, dove Julius Evola presentò lo studioso tedesco come uno degli esponenti (insieme con Eitrem, Altheim, Kerényi e pochi altri) di “una nuova corrente di esegesi dell’antico mondo spirituale che la rompe in pieno con i pregiudizi metodologici e le limitazioni di certa scienza delle religioni, da noi purtroppo ancora in auge in molti ambienti accademici”.
Ma il rapporto di Evola con Walter Otto non si esaurisce nell’apprezzamento che lo scrittore italiano ebbe più volte modo di manifestare nei confronti dell’autore degli Dei della Grecia. Esiste anche una convergenza di posizioni che accomuna Evola ed Otto in ordine a un argomento che, con impegno di misura diversa, venne affrontato in una prospettiva analoga, sia da Evola sia da Otto e ciò, verosimilmente, senza che l’uno fosse al corrente di quanto scriveva l’altro.
Secondo Evola, “Epicuro negò solamente gli dèi della religione popolare, gli dèi che si mescolerebbero al corso del mondo, che si invocano per le piccole miserie umane e che sono usati come spauracchio per le anime deboli. Egli invece li ammise in sede etica e, a dir vero, seguendo la più alta concezione ‘olimpica’ greca del divino: come delle essenze distaccate e perfette, esenti da passioni, che al saggio debbono valere come supremo ideale” (Epicuro, un calunniato, “Roma”, 23 gennaio 1958).
Quanto a quel vero e proprio teologo della religione greca che fu Walter Friedrich Otto, egli “realizza che il presunto ateismo di Epicuro in realtà non esiste”. Questa è la conclusione dello studio introduttivo al saggio di Otto intitolato Epicuro, curato da due veterani degli studi su Epicuro e uscito recentemente nella stessa collana in cui sono apparsi testi di Plutarco, l’Imperatore Giuliano e Proclo.