Abbiamo tutti sotto gli occhi la propaganda israeliana che accompagna la macelleria di Gaza.
In sostanza si basa su questi punti:
1. Gli eccidi e la barbarie del 7 ottobre ad opera di Hamas non hanno giustificazioni e non si può mettere in discussione qualsiasi eccesso commesso in reazione, se non come sbavatura veniale. Poco importa che si tratti di civili, donne, vecchi, bambini, assassinati, affamati, assetati, braccati e lasciati senza cure in modo sistematico e disumano.
Nulla a che vedere con quanto accaduto il 7 ottobre. E chi cerca di spiegare il 7 ottobre anche con 76 anni di vessazioni non ne ha diritto perché nulla è comparabile con il 7 ottobre.
2. Israele difende gli ebrei vittime di discriminazioni e di antisemitismo. Chi critica il comportamento israeliano è antisemita. Che poi semiti lì siano più gli arabi degli ebrei è un dettaglio. Per giustificarsi di qualsiasi cosa, se proprio va male, c’è infine sempre un bonus da giocare che gli altri non hanno, e si chiama Olocausto.
3. Israele è virtuosa ma subisce l’odio dei cattivi, dall’Onu alla Ue, dai paesi arabi perfino agli Usa e deve fare perno su se stessa e vincere comunque benché “accerchiata”. E per questo “s’indigna” se viene condannata dall’opinione pubblica e dalle istituzioni di quasi tutto il mondo.
Non è mia intenzione affrontare qui quanto accade a Gaza, né perdermi nel bipolarismo imbecille che spinge a tifare o per Hamas o per Tsaal. Nessun’attenuante ai fondamentalisti religiosi, del resto messi su a suo tempo dalla stessa Tel Aviv. Gente che non solo ha strumentalizzato con un fanatismo astratto e internazionalista la causa palestinese, ma che non ha esitato a mandare la sua popolazione al macello, stando nascosta dietro le linee, proprio come i partigiani di via Rasella.
Insieme, Hamas e Tel Aviv, con la complicità di quasi tutti i governi arabi e mediorientali, hanno stritolato e stanno annientando la Palestina.
Quello che m’interessa rilevare è che tutto quanto dicono gli israeliani a copertura del loro massacro imperialista è identico e sovrapponibile agli schemi di alcuni altri: russi ed americani.
Gi americani agiscono sempre per qualcosa che devono vendicare nei confronti di uno “Stato canaglia” o di un “Nemico nell’ombra”. Dagli affondamenti del Maine e del Lusitania, passando per Pearl Harbour e per le Twin Towers c’è sempre stato un 7 ottobre a causa del quale “nulla sarà più come prima” e tutto da ora in poi sarà giustificato.
Il napalm, le atomiche, Dresda, Amburgo, Hiroshima, Nagasaki, circa un milione di soldati prigionieri morti nei campi di prigionia e via via fino a Guantanamo, tutti “eccessi” comprensibili e accettabili per via del “7 ottobre” di turno.
Idem per i russi. Le decine di milioni di persone che hanno sistematicamente eliminato dal 1917 in poi, sono nulla perché tutto parte nel 1941 dalla “aggressione” dell’Asse che minacciava un popolo così “pacifico” che aveva da poco invaso metà Polonia ed era stato fermato eroicamente nella propria terra dai finlandesi.
Non ci dilungheremo qui neppure sui retroscena dell’Operazione Barbarossa che attestano come i tedeschi abbiano reagito a un tradimento degli accordi già consumato e mirante a paralizzare la loro macchina di guerra. Il terzo tradimento russo nei confronti degli europei in un secolo e mezzo, poi seguito dal più recente del 2022.
Come per allora, così oggi sulla questione ucraìna. Cancellati anni e anni di vessazioni; il genocidio dell’Holodomor (7 milioni e mezzo di ucraìni!); le incursioni dei soldati russi senza insegne per creare le “insorgenze”; accaparata l’intera cifra delle vittime della guerra in Donbass, ivi comprese le quasi seimila lealiste sulle tredicimila totali. Si è sbandierato un “7 ottobre” locale, con la “strage di Odessa”, negando le conclusioni di ben due commissioni internazionali e le prove di chi aveva effettivamente attaccato, dimenticando come si produsse l’incendio, nonché omettendo il fatto che il responsabile del non avvenuto intervento delle forze di sicurezza riparò proprio presso i russi. Utilizzando perfino falsi testimoni sopravvissuti (un classico della Lubjanka), hanno fatto dell’imperialismo in Ucraìna una causa santa. E quel 2 maggio 2014, snaturato, sconvolto, capovolto e narrato con lingua biforcuta, è diventato la data di origine di tutto. Tutto quanto l’ha preceduto non esiste: come il 7 ottobre, appunto. Cosa contano decine di milioni di morti rispetto alla narrativa di Odessa?
Ogni reazione alla voracità russa viene costantemente marchiata da Mosca come un’infamia, come un complotto di cattivi che vogliono distruggere la povera Russia, che viene continuamente presentata come minacciata nella sua integrità territoriale. Dove poi? Nei territori altrui occupati con la forza!
Che differenza con Tel Aviv? E così tanta con Washington?
Si potrebbe essere tentati di dire che è così per tutti, che sta nella logica di ogni imperialismo e non c’è perciò da stupirsi. Ma non è vero.
Se pensiamo alla Seconda Guerra Mondiale, questo stile di comportamento fu russo e americano. Non fu tedesco né giapponese. Non fu sicuramente italiano, ma nemmeno francese o inglese.
Né c’è traccia di questo durante l’impero spagnolo o britannico, né nei colonialismi portoghese, olandese, francese, belga o italiano.
Gli inglesi, che di sicuro non sono mai andati teneri, giammai hanno fatto ricorso a questo sistema d’avvelenamento delle anime e delle menti.
Non hanno fatto vittimismo e si sono sostanzialmente astenuti dalla stucchevole e ignobile propaganda auto-angelizzante.
Non hanno mai avuto bisogno di una Pearl Harbour, di un’Odessa, di un 7 ottobre.
Se ne sono sempre infischiati di apparire come severi ma giusti, bastava loro essere severi.
“Right or wrong is my Country”. Non si sono mai atteggiati per poter essere presentabili nei consessi ipocriti e volgari della plebe squilibrata.
Perché, in fondo, mantenevano un retaggio guerriero e signorile.
Russi, americani e israeliani no.
“Io servo, tu servi, noi serviamo – così va salmodiando anche l’ipocrisia di chi domina – e guai se il primo dei padroni è soltanto il primo dei servi!” (Così parlò Zarathustra).
Nel mio Nuovo Ordine Mondiale tra imperialismo e Impero, edito nel 2002 per Barbarossa, avanzavo anche la tesi che la modernità post-romana abbia incluso una sua propria regressione della caste e che l’età del Mondialismo, impostasi con Jalta, sia quella dei Parìa.
L’era del post-servilismo, al di là della stessa citazione di Nietzsche.
Forse di questo si tratta e non solo dell’impunità dei potenti, non soltanto delle logiche dell’imperialismo, ché non erano mai state queste in passato.
La potenza e la prepotenza non hanno bisogno di vittimismo e di travisamento della realtà, invocati e confezionati per non pagare pubblicamente pegno. Ma questi qui ne sentono il bisogno, anzi non ne possono fare a meno perché del magma caotico, dell’oscurità ctonia che li ha generati sono i campioni e quindi non possono, letteralmente non possono, assumere una dignità aristocratica.
C’è un detto spagnolo che afferma “Non c’è peggior tiranno di uno schiavo con la frusta in mano”.
Di questo probabilmente si tratta oggi. Al di là delle sfumature dovute ai livelli diversi di rozzezza, che si tratti di Mosca, di Washington o di Tel Aviv, siamo alle prese con la vergognosa, spudorata, menzognera, ipocrita, spietata, tirannia di schiavi che fanno i despoti.
Vomitevole!