Ottobre 1956: inizia la leggendaria rivolta di Budapest che verrà schiacciata sotto i cingolati sovietici. Ricordiamo quei magiari mandati allo sbaraglio, vittime dei carri sovietici, delle macchinazioni americane, dei giochi di potere dell’oligarchia comunista e dell’indifferneza generale (“sull’orlo della nostra fossa il mondo è rimasto seduto”).
Claudio Mutti
Se lo sconquasso provocato nel febbraio 1956 dal XX Congresso del PCUS e dalle “rivelazioni” di Khrushciov coinvolse tutto quanto l’impero sovietico, fu l’Ungheria a subire le ripercussioni più traumatiche.Il 20 febbraio 1956, a settant’anni dalla nascita di Béla Kun, la Pravda khrushcioviana rievocava il leggendario ebreo d’Ungheria che, dopo aver fondato il Partito Comunista Ungherese e instaurato la Repubblica dei Consigli, era caduto vittima della purga staliniana del 1937 insieme con altri esponenti della vecchia guardia.
A Budapest, dove la leggenda di Béla Kun era stata soppiantata da quella creata intorno a Mátyás Rákosi (alias Mátyás Roth), l’articolo della Pravda suonò come un nuovo avvertimento. Nuovo, perché l’anno precedente aveva visto la defenestrazione di Malenkov, che era il protettore moscovita di Rákosi; e, sempre nel 1955, Khrushciov era andato a Belgrado per riconciliarsi con Tito, sconfessando così la campagna antititoista orchestrata a Budapest nel 1949 all’epoca del processo contro László Rajk e altri dirigenti comunisti.
Il 17 marzo 1956, il fermento prodotto in Ungheria dal XX Congresso dà luogo alla nascita del Circolo Petöfi. Costituito da membri dall’organizzazione giovanile del Partito dei Lavoratori Ungheresi, il Circolo Petöfi indice numerose conferenze e assemblee, nelle quali si manifesta un’opposizione sempre più decisa verso il regime di Rákosi e si propugna il ritorno di Imre Nagy (primo ministro dal 1953 al 1955) alla testa del governo. A questa campagna partecipano attivamente molti esponenti dell’intelligencija mondialista; “moltissimi ebrei comunisti, come Tibor Déry, Gyula Háy, Tibor Tardos, Tamás Aczél, furono i principali animatori, nel 1956, dell’Associazione degli scrittori e del Circolo Petöfi”1. Così scrive François Fejtö alias Ferenc Fischel, lui stesso ebreo ed ex comunista (ora neocattolico e neoliberale), il quale dimentica però, stranamente, di menzionare in quel contesto il più illustre di tutti: György Lukács (alias Georg Löwinger)2, “il più rispettato filosofo del regime comunista (…) figlio di un banchiere ebreo (…) divenuto un attivo militante comunista nel 1918″3.
Sotto la pressione delle proteste e delle rivendicazioni, consapevole che il “nuovo corso” voluto da Khrushciov comporta inevitabilmente un avvicendamento nei vertici dei partiti comunisti, il 21 giugno Rákosi vola a Mosca “per sottoporsi a cure mediche”. Berija lo accoglie con queste parole: “Sei stato il primo e l’ultimo re ebreo dell’Ungheria!”4 In realtà è stato