La convention dei Democratici si conclude tra retorici richiami ai “valori americani”, minacce da bullo di periferia ai “terroristi”, paragoni storici di un insulsaggine unica (“Al Qaeda = Fascismo”), nuovi appelli all’unilateralismo e rassicurazioni sulla permanenza delle truppe USA in Iraq. Eccolo, John Kerry, l’idolo dei pacifinti Rutelli e Fassino, il “volto buono dell’America”: nient’altro che un clone del suo rivale. 
“Siamo una nazione in guerra”. “Gli Stati
Uniti d’America non vanno mai in guerra
perché lo vogliono, vanno in guerra soltanto
perché devono”. “Io combatterò una
guerra al terrore più intelligente e più efficace.
Utilizzeremo ogni strumento dei nostri
arsenali: quelli economici così come la
nostra forza militare, i nostri principi così
come la nostra potenza di fuoco”. (John
Kerry, 29 luglio)
“Abbiamo un messaggio chiaro per al
Qaida e il resto dei terroristi. Non potete
scappare. Non potete nascondervi.
Vi distruggeremo”.
Il clan degli Intoccabili |
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Scritto da Ugo Gaudenzi
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Venerdì 30 Luglio 2004 01:00 |
Il decalogo del buon banchiere italiano: ovvero come la casta degli usurai domina la politica italiana e si procura un potere mai visto prima. 
Il decalogo italiano del Buon Banchiere è semplice semplice. 1) Mani libere per fare e disfare nel nome del profitto e dell'usura. 2) Blocco di qualsiasi legge attenta alla tutela del risparmio. 3) Occhiali a specchio, perché al governo, o al parlamento, o alla magistratura non si deve permettere di guardare dentro le banche. 4) Immediate contromisure per fermare, esorcizzare ed eliminare qualsiasi "ostacolo" - norma, controllo, persona fisica - si incontri nell'accumulo di potere finanziario. 5) Apertura di linee privilegiate per entrare nelle imprese - e nelle tasche dei clienti - e restarci dentro senza restrizioni. 6) Taglio di ogni "ramo secco" - posti di lavoro, investimenti a lungo termine - che riduca la liquidità immediata degli istituti bancari e delle imprese da questi controllate. 7) Pressione continua su governi ed istituzioni perché questi non si permettano di derogare dalle leggi usuraie del mercato per fini sociali. 8) Accelerazione di ogni deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione dell'economia, senza norme che impediscano il massimo profitto - anche ai danni dei cittadini - con il minimo
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Scritto da Il Foglio
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Domenica 25 Luglio 2004 01:00 |
Arrivano i neo-neoconservatori: hanno meno di trent’anni e conquistano le redazioni dei giornali tradizionalmente filo-repubblicani. Chi pensava che con i fanatici ideologi oligarchico-puritani come Perle, Feith, Ledeen, Kagan, Podhoretz, Abrams, Kristol avessimo toccato il fondo si sbagliava di grosso. Al peggio non c’è mai fine.  Non chiamateli ragazzini
Roma. Quando William Buckley, uno dei più prestigiosi analisti politici della destra americana, ha annunciato, alla fine di giugno, il suo ritiro dalla direzione di National Review, la rivista che aveva fondato nel 1955, molti si sono chiesti che ne sarebbe stato del pensiero conservatore. Una prima risposta è stato lo stesso Buckley a darla, cedendo la guida della rivista a giornalisti che hanno come cifra distintiva una caratteristica anagrafica: sono giovani, spesso giovanissimi. Ma la risposta non è piaciuta a tutti: i critici chiamano, non senza una certa sufficienza, queste nuove leve “those kids”, un modo come un altro per sottolinearne l’inesperienza. Ma, se è vero che National Review ha perso nel tempo lo spessore intellettuale che aveva all’origine, resta il fatto che rappresenta a tutt’oggi, pur sotto la guida di “quei ragazzini”, uno dei punti di riferimento della politica dei neoconservatori.
Se Buckley ha deciso di passare cotanto testimone a un gruppo di giovani, un motivo c’è: il grande fermento che caratterizza il mondo degli “young right”, un folto gruppo di giornalisti, accademici e analisti politici che organizzano incontri in tutti gli Stati Uniti, che aprono blog per dare voce ai loro pensieri, che si formano nei think tank per imparare a camminare nella vita politica vera. Ai dibattiti della America’s future foundation, nata con il compito di mettere e tenere in contatto i giovani libertari, è quasi impossibile trovare tra il pubblico qualcuno al di sopra dei trent’anni. Quando a maggio la Philadelphia Society ha organizzato a Chicago un grande evento per parlare del movimento conservatore, è salita sul palco una giovane laureata di Yale di 24 anni, Sarah Bramwell, che ha spiegato quali saranno i nodi cruciali che i conservatori dovranno affrontare nei prossimi quarant’anni. Qualche giorno prima, al Resource bank meeting, organizzato dalla Heritage foundation, erano presenti più di 500 persone, tra le quali un’orda di giovani.
I think tank rappresentano la fucina principale di queste nuove, agguerrite leve. Sono molte le organizzazioni che si occupano di mandare liceali e universitari a riflettere sul futuro del loro paese: il programma di internship finanziato da Charles Koch, un famoso industriale da sempre sensibile alle istanze libertarie, al grido “costruisci la tua carriera mentre costruisci la libertà”, ha permesso ai giovani conservatori di conoscere il mondo dei think tank, a cui poi molti sono rimasti attaccati.
Non solo politica estera
La vittoria dei poteri forti |
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Scritto da Paolo Emiliani
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Domenica 25 Luglio 2004 01:00 |
La nomina di Domenico Siniscalco – un iperliberista rampante che già si è fatto le ossa nell’ambiente mondialista ed usurocratico - al ministero dell’economia rappresenta l’ennesima vittoria dei poteri forti sul governo berlusconiano. Da segnalare il ruolo avuto nella vicenda dai noti “cani da guardia” dell’Alta Finanza (AN, UDC) e l’inconsistenza di un’opposizione anch’essa in cerca di sponsor che contano.  Fumata bianca in via XX settembre: il successore di Giulio Tremonti è Domenico Siniscalco, direttore generale dello stesso ministero dell’Economia. La guida dell’economia italiana affidata ad un “tecnico” sembrerebbe escludere “lo spacchettamento” del ministero, ma la figura di Siniscalco non è quella del burocrate classico, quanto piuttosto quella del liberista rampante, forgiata nella globalizzazione più selvaggia. Nato a Torino cinquanta anni fa esatti (il 15 luglio 1954), laureato in giurisprudenza nella sua città ha ottenuto nel 1989 un dottorato di ricerca in economia presso l’Università di Cambridge. Il suo curriculum è ricco di incarichi prestigiosi: attualmente Professore Ordinario di Economia Politica, Facoltà di Economia e Commercio, Università di Torino; Direttore della Fondazione ENI Enrico Mattei a Milano; in precedenza ha ricoperto incarichi di insegnamento presso l’Università di Cambridge, l’Università di Cagliari, la Luiss di Roma, la Johns Hopkins University, il CORE, l’Università di Lovanio. Ma non finisce qui: membro del Consiglio di Amministrazione di Telecom Italia, membro del Consiglio di esperti Economici alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; consulente economico ed editorialista per “il Sole 24 Ore”: presidente EAERE (European Association of Environmental ad Resources Economists); membro del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) delle Nazioni Unite; membro del Royal Institute for International Affairs di Londra; membro dell’Economic Advisory Group all’European Commission DG III; membro della Reale Accademia delle Scienze di Stoccolma e addirittura membro del team di esperti per le Privatizzazioni, Ministry of Planning, in Arabia Saudita.
In pratica un “tuttologo” della mondializzazione… Tra tutti questi galloni, nel 2001, è arrivato pure quello di direttore generale al ministero dell’Economia. Certamente si tratta di persona assai gradita dai salotti dell’alta finanza, quelle lobby che avvelenano l’economia italiana per i loro profitti. Non ci stupisce quindi il gradimento ricevuto dai principali attori di questa crisi mai dichiarata ufficialmente: AN e UDC, che sono diventati la vera punta di diamante dei poteri forti. In una nota diffusa da Palazzo Chigi, Berlusconi aveva dichiarato: «come richiesto anche dall’UDC, porrò fine al mio interim al ministero dell’Economia e sottoporrò al capo dello Stato la nomina del nuovo ministro». «Prendo atto con soddisfazione -aveva concluso il Cavaliere- che l’UDC garantisce la stabilità e la governabilità e riconferma la sua piena adesione alla maggioranza di governo». «Per quanto riguarda -proseguiva Berlusconi- la squadra di governo, riconfermo la mia piena fiducia nei confronti degli attuali ministri». In questo modo si conclude questa brutta soap opera. Berlusconi avrà il suo “record”: sarà il primo presidente del consiglio rimasto in sella per una intera legislatura (almeno è questo l’obiettivo); la Lega porterà a casa il federalismo e l’UDC, ormai incoronata come partito della grande finanza, può puntare alla ricostruzione della Democrazia Cristiana, ovviamente insieme al vecchio pigmalione e prossimo paggio di compagnia Alleanza Nazionale. Proprio il partito di Fini in questa crisi ha fatto la figura dell’eunuco dell’harem, uscendo ridicolizzato, incapace di sostenere una posizione autonoma, divaricato tra servilismo verso Berlusconi e le tentazioni centriste dei post diccì. L’opposizione ulivista non fa certamente una figura migliore. Era certamente pronta alla contestazione se fosse stato nominato un politico, un Fini, un Follini, un Marzano o una Moratti, ma è restata spiazzata dalla nomina di un uomo così legato ai salotti della grande finanza, segno che i tentacoli del denaro arrivano ben dentro il Botteghino e non lasciano immune nemmeno un rivoluzionario cachemire come Bertinotti. In ogni caso la chiusura formale della crisi |
Scritto da Lud.Fab.
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Venerdì 23 Luglio 2004 01:00 |
La solita beffa delle compagnie aeree. L'aereo è ormai l'unico mezzo per collegare la Sardegna al resto della penisola ( a fronte delle 12/14 ore del traghetto, quando va bene, con una corsa al giorno e con servizi fatiscenti). Non stiamo parlando di un pacchetto promozionale per i vacanzieri di questi giorni, ma di un enorme problema per residenti e immigrati che per motivi di lavoro, studio e talvolta salute sono costretti a spostarsi dall'altra parte del mare (sostenendo, per questo, pesanti e onerose spese). Per questo, anche se vi è una legge statale così detta di "continuità territoriale", che finanzia le compagnie per erogare delle tariffe sottocosto, queste ne approfittano e invece di equiparare un biglietto aereo a quello di una normale tratta ferroviaria, ne caricano di tasse e di penali totalmente abusive. E i controlli?? nessuno ovviamente.... 
tratto dall'Unione Sarda del 21/07
di Stefano Lenza
Ormai si riconoscono l’uno con l’altro. Si ritrovano ogni lunedì mattina a Elmas o a Fertilia o al Costa Smeralda. Sono pendolari d’alto bordo. Nel senso che pendolano da una sponda all’altra del Tirreno e sono quasi tutti dirigenti d’azienda. Minimo comune denominatore: costretti a “emigrare” per non perdere il lavoro. Da Cagliari, prevalentemente, ma anche da Sassari, Nuoro e Oristano, si sono dovuti trasferire nella Penisola, soprattutto a Roma e Milano, dove le grandi società hanno concentrato il management sbaraccando gli uffici decentrati. Questione di conti, di costi da tagliare, di utili da preservare o, talvolta, di perdite da contenere. Lo stipendio continuano a prenderlo ma considerevolmente decurtato dalle spese di trasferta e da un travaso di euro dalle proprie tasche alle casse di Alitalia, Meridiana o Air One: partono il lunedì e tornano a casa il venerdì, tutto l’anno, tranne nel periodo delle ferie, con varianti sul calendario in base a feste comandate, ponti vari e imprevedibili malanni. Quando è stata varata la continuità territoriale hanno fatto salti di gioia all’idea di viaggiare a prezzi stracciati. Poi hanno cominciato a subire pesanti disagi, a pagare il biglietto sempre di più, a sopportare penali imposte in barba alle norme. Così si sono organizzati e hanno creato l’Avpta (Associazione viaggiatori pendolari del trasporto aereo). «Purtroppo - spiega il presidente Angelino Attene - abbiamo constatato che il mezzo di trasporto aereo non risponde alle nostre esigenze e alle nostre aspettative. La scelta era quindi quella di accettare passivamente i disservizi e lamentarsi in modo sterile senza ottenere quasi mai risposte, o organizzarsi per avere un ruolo attivo e propositivo per migliorare il servizio». Così, alla fine dell’anno scorso, si sono messi insieme per far sentire la loro voce alle compagnie, certo, ma anche all’Enac, (Ente nazionale aviazione civile), al Ministero dei Trasporti e alla Regione. Le adesioni non sono mancate e il gruppo fondatore si allarga di giorno in giorno grazie al sostegno di nuovi soci reclutati attraverso il sito (www.pendolariaerei.it) dell’associazione. Qualche giorno fa, l’Avpta ha inviato una lettera al Governatore Renato Soru con un particolareggiato elenco di problemi e proposte. «Siamo fiduciosi che la risposta non si farà attendere e insieme potremmo agire per riappropriarci della continuità territoriale che le compagnie ci hanno di fatto scippato» I dolori del pendolare? «Innanzitutto la mancanza di puntualità e di comfort. Il viaggio dovrebbe essere un momento di relax e piacere e non un’esperienza stressante in cui ci sentiamo ostaggi del vettore. I disagi sono venuti subito dopo l’avvio della continuità territoriale. Le prime angherie le abbiamo subite sul fronte tariffario. La garanzie del prezzo è stata sepolta sotto una montagna di aumenti ingiustificati. Ha cominciato Meridiana caricando sul costo del biglietto sei euro con la giustificazione della crisi seguita all’attentato dell’11 settembre alle torri gemelle. Alitalia si è accodata quasi subito, mentre Air One è stata a guardare per sei mesi poi si è adeguata, visto che né Ministero, né Enac, né Regione avevano contestato la decisione delle altre due compagnie di introdurre una maggiorazione tariffaria non prevista». Tutto qui? «No, perché poi è arrivato l’adeguamento in base all’inflazione accertata dall’Istat. Anche questo in palese violazione delle convenzioni che lo ammettono, previa autorizzazione, solo per le tariffe piene pagate dai non residenti. A seguire, l’Alitalia ha introdotto gli oneri, fino a sei euro |
Cara, mi si sono bruciati i ragazzi ... |
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Scritto da Beowulf
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Mercoledì 21 Luglio 2004 01:00 |
Succede anche questo ... Elena Kalogeras, 24enne di Atene, ha ucciso il fratello di sei anni a coltellate e poi ha messo il corpo a bruciare in un forno.  Atene - Ha ucciso il fratello di sei anni a coltellate, in preda a un raptus di follia, e poi l'ha messo in un forno elettrico acceso, dove la polizia ha trovato il piccolo corpo carbonizzato. La racapricciante tragedia è avvenuta ad Atene, nel quartiere di Kypseli,non lontano dal centro della capitale.
La ragazza, Eleni Kalogeras di 24 anni, è stata arrestata con l'accusa di omicidio e verrà sottoposta ai test psicologici per stabilire lo stato di salute mentale. Anche la madre del piccolo, Chrysoula, è stata arrestata con l'accusa di aver lasciato un minore alle cure di una persona che aveva mostrato ripetutamente di aver evidenti disturbi psichici. Il cadavere era talmente deturpato che il medico legale non era inizialmente stato in grado di previsare né le cause né la data della morte. Il bambino viveva con la madre e con la sorella metre il padre separato dalla moglie vive altrove. L'uomo aveva portato il bambino a un vicino parco nella mattinata di domenica, e poi l'aveva riaccompagnato a casa affidandolo alle cure della ragazza. La madre aveva lascito la casa per recarsi a fare le pulizie, la sua occupazione. L'allarme è stato dato da uno zio dell'assassina, e della piccola vittima, che passato per una visita ha notato macchie di sangue in terra, trovando in una stanza la nipote completamente nuda. Spaventato, ha iniziato a girar per la casa, fino a quando, sentendo puzza di bruciato, ha aperto il forno e ha visto la terrificante scena. |
VENEZUELA: CHAVEZ ATTACCA BUSH, GUIDA UNA MAFIA DI ASSASSINI |
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Scritto da AGI/AFP
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Martedì 20 Luglio 2004 01:00 |
Caracas, 19 lug. - Il presidente venezuelano Hugo Chavez e' tornato ad attaccare duramente George W. Bush accusandolo di dirigere una "mafia di assassini". Parlando al suo programma radiofonico settimanale "Hello President", Chavez ha raccomandato ai suoi concittadini la visione del film-documentario di Michael Moore "Fahrenheit 9/11", fortemente critico del presidente americano e della guerra in Iraq. Il film, ha detto il presidente venezuelano, "spiega come Bush aspiri a governare il mondo sostenuto da quanti lo circondano perche' e' una mafia, una vera mafia di assassini". Chavez ha anche respinto gli appelli della Casa Bianca affinche' il referendum che il 15 agosto dovra' pronunciarsi sulla sua permanenza al potere si svolga con trasparenza. "Non accettiamo pressioni", ha detto Chavez. |
Sudan: bugie e provocazioni |
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Scritto da Fulvio Grimaldi
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Domenica 18 Luglio 2004 01:00 |
La classica campagna di disinformazione e di preparazione all’aggressione terroristica, con i soliti ascari e i soliti boccaloni, ha ormai preso il via: il Sudan è il prossimo “stato canaglia” destinato al martirio. Si veda la vicenda della Cap Anamur, la nave di profughi “sudanesi” (che tutto erano fuorché sudanesi) che tanto ha impietosito il pubblico nostrano. I burattinai dello spettacolo non sono andati in ferie.  [...]
Finisco con un episodio altamente rappresentativo di quanto sopra. Sudan. Nei caldi giorni di giugno-luglio, che la Resistenza irachena, i contraccolpi in Afghanistan, l’efficace risposta politica di Cuba all’aggressività statunitense con intendenza europea al seguito, e la tenuta di Hugo Chavez in Venezuela, la botta Zapatero, facevano ribollire ulteriormente sotto i piedi dell’establishment imperialista, tutti presero a occuparsi con crescendo da visibilio del Sudan. Un depistaggio salutare per gli occupanti, invasori e cospiratori sotto tiro: via dalle umiliazione di una guerra in via di sconfitta in Iraq come in Afghanistan, via dall’invadenza di Guantanamo, via da Abu Ghraib, via dai sondaggi di un Bush sullo scivolo. Via verso un prodotto tenuto da tempo sullo scaffale, come quel farmaco inventato negli anni ’60 e a cui l’AIDS, scoperto, forse, secondo mezza dozzina di Nobel, fabbricato, vent’anni dopo, offrì il lungamente sospirato mercato. Via verso quell’”umanitarismo” che tanto bene aveva funzionato per la Jugoslavia. Solo pochi giorni prima della fenomenologia Sudan, quel paese era riuscito a comporre una quarantennale guerra civile istigata da forze esterne – statunitensi, israeliani, Vaticano – facendo leva sul solito separatismo etnico-confessionale. Non solo aveva indebolito gli strumenti cospiratori degli destabilizzatori esterni, ma aveva anche stretto – colpa gravissima – rapporti privilegiati di collaborazione economica con la Cina. Il Sud, ricco di risorse petrolifere, idriche e lignee, era stato conteso tra un governo centrale e forze secessioniste che, oltre a tutto, erano ferocemente divise tra loro. L’ONU ha calcolato che la maggioranza dei profughi e delle vittime era dovuta allo scontro tra bande antigovernative. L’accordo, firmato in Kenya, risultò assai vantaggioso per le forze ribelli di John Garang e loro sponsor (comboniani e petrolieri) e assai gravoso per lo Stato. Khartum acconsentì a minare l’unità nazionale concedendo ai leghisti del Sud vaste proporzioni dei redditi petroliferi e un referendum su unità o secessione tra sei anni.
Non si è asciugato l’inchiostro della firma di pace, che nelle regioni occidentali del paese, da sempre a rischio di desertificazione e carestia, spuntano ben due “eserciti di liberazione nazionale”, ai quali si oppone una milizia di autoprotezione degli abitanti chiamata Janjaweed , sostenuta, si afferma, dal governo di Omar al Bashir, che peraltro si è subito impegnato a disarmarla (disarmo che gli “umanitari” internazionali non chiedono affatto per i terroristi secessionisti armati dai soliti destabilizzatori del Sud). Agenzie, televisioni e giornali di tutto il mondo si riempirono subitaneamente – seppure tutti privi di inviati sul posto, ma generosamente imbeccati dall’ONG di regime americana UsAid - di cronache raccapriccianti sugli orrori perpetrati…da chi? Ma naturalmente dal governo e dalle sue milizie. Insomma, delinquente diventa non chi cerca di spaccare il paese, ma chi ne difende l’unità, in particolare contro le |
Scritto da huffingtonpost.it
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Martedì 30 Novembre 1999 01:00 |
 La finanza teme per l'economia
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