giovedì 12 Dicembre 2024

La via della batteria

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Gli investimenti diretti cinesi all’estero del 2023 si avviano a segnare nuovi record lungo la catena del valore dei veicoli elettrici, il cui modello di sviluppo è sempre più nel mirino dei Paesi occidentali.
Un studio firmato da Rhodium Group ha calcolato che, nel 2023, le aziende del Dragone hanno destinato 28,2 miliardi di dollari nel settore, una cifra inferiore ai 29,7 miliardi di dollari dell’anno prima ma che non include vari progetti di grandi dimensioni di cui non si conosce il prezzo, come l’impianto ungherese di Byd e il 25% rilevato da Gotion in un produttore slovacco di batterie.

Dove sono concentrati gli investimenti cinesi nelle auto elettriche
Dal punto di vista geografico, nel 2023 i tre quarti degli investimenti esteri della Cina nel settore delle auto elettriche sono stati ripartiti in modo relativamente uniforme tra Europa, area MENA (acronimo di “Medio Oriente e Nordafrica”) e Asia.
In particolare, lo scorso anno i nuovi investimenti in Europa sono diminuiti del 36%, passando da 11,8 miliardi di dollari a 7,6 miliardi di dollari. Un risultato che si deve alla base gonfiata del 2022, anno in cui CATL, società cinese specializzata nella produzione di batterie agli ioni di litio, aveva investito 7,3 miliardi di dollari nella gigafactory in Ungheria.
Vale la pena ricordare che nel 2023, in Europa, il 92% degli investimenti del Dragone nel settore delle auto elettriche è stato destinato a Ungheria, Finlandia e Svezia. In Ungheria, gli investitori cinesi hanno annunciato una manciata di operazioni di medie dimensioni, tra cui tre investimenti superiori a 1 miliardo di dollari da parte di Huayou Cobalt, EVE Energy e Sunwoda.
Nei Paesi dell’area MENA gli investimenti si sono concentrati interamente sul Marocco, grazie all’annuncio di Gotion High-Tech di voler investire 6,3 miliardi di dollari per costruire una gigafacrory da 100 GWh. Di poco superiori quelli finiti Asia: l’ammontare si aggira intorno a 6,5 miliardi di dollari e si sono concentrati in Thailandia e Corea del Sud, dove le aziende cinesi hanno annunciato nuovi investimenti rispettivamente per 2,1 e 1,7 miliardi di dollari. In calo, infine, il flusso di denaro destinato al Nord America (da 4,8 a 2,7 miliardi di dollari), a causa dell’incertezza normativa e dei timori sui piani poco chiari di Washington nei confronti delle aziende cinesi.

Di fronte a questa valanga di soldi, non mancano rischi all’orizzonte. A partire dal crescente allarme per la sovraccapacità industriale del Dragone che inonda dei Paesi occidentali con prodotti a basso costo, e che sta aprendo un nuovo fronte nella guerra commerciale, iniziata con le tariffe alle importazioni di Washington nel 2018. Secondo quanto riportato dal New York Times, il presidente Usa Joe Biden avrebbe chiesto un’indagine su veicoli e camion connessi a Internet che arrivano dal Dragone per i possibili rischi alla sicurezza nazionale sull’invio di informazioni sensibili a Pechino,
Allo stesso tempo, il sostegno di Pechino all’internazionalizzazione delle aziende produttrici di EV e batterie potrebbe incontrare un altro limite: i politici cinesi sono sempre più preoccupati che il trasferimento della produzione di tecnologie green possa penalizzare la Cina, in un momento in cui ha bisogno di dare una spinta alla crescita economica interna.

E l’Europa? Come spiega lo studio, “gli Stati membri dell’UE sono desiderosi di attrarre produttori cinesi del comparto delle auto elettriche. Anzi, sono in competizione tra loro per offrire incentivi alle aziende cinesi. Dopo tutto, gli impianti di batterie cinesi portano la tecnologia necessaria alle case automobilistiche europee, creano posti di lavoro e aumentano il valore aggiunto locale.”
C’è tuttavia un problema. Di recente, gli investimenti cinesi nei veicoli si sono concentrati in Ungheria, che ha ricevuto il 53% dei nuovi investimenti cinesi nei veicoli elettrici annunciati per il 2022 e il 2023.
“Questo potrebbe non andare giù a molti Stati, soprattutto quelli più grandi come la Germania e la Francia. Le tensioni con l’Ungheria sono accentuate dalle
resistenze di Budapest nei confronti delle principali politiche dell’UE. Se gli investimenti cinesi dovessero continuare a concentrarsi in Ungheria – mette in guardia lo studio – aumenterebbe anche la probabilità di un controllo da parte di Bruxelles. In particolare, alcuni Stati membri potrebbero spingere l’UE a utilizzare il nuovo regolamento sulle sovvenzioni estere (FSR), che consente alla Commissione di affrontare le distorsioni causate dai sussidi esteri, anche per gli investimenti greenfield. L’UE potrebbe anche aumentare il controllo sugli aiuti di Stato europei concessi alle aziende cinesi. Ciò potrebbe avere un impatto negativo sugli investimenti cinesi EV passati e futuri nella regione”.

Italia guarda con interesse ai produttori cinesi di EV
Intanto, in Italia, dopo la notizia di qualche giorno fa, secondo il cui il Governo Italiano, alla ricerca attiva di un secondo costruttore per l’Italia da affiancare a Stellantis, starebbe conteggiando il produttore cinese BYD, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, in audizione alla commissione Attività produttive della Camera, ha spiegato che a metà di ottobre dello scorso anno una delegazione ministeriale ha visitato le più grandi case automobilistiche cinese produttrici di veicoli elettrici.
In seguito a quella missione, alcune aziende leader cinesi sarebbero venute in Italia per parlare delle possibilità offerte dal Paese e visitare possibili siti. “Stiamo approfondendo”, aggiunge il ministro spiegando che si parla non di assemblaggio di auto ma di produzione. Nella lista dei candidati vi sarebbero almeno cinque case cinesi, tutte interessate a crescere in Europa (dove nel 2023 hanno già venduto oltre 353 mila vetture, +75%). Tra queste spuntano i nomi di Chery, Geely, e Great Wall Motors.

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