lunedì 2 Dicembre 2024

Le armi spuntate di Michael Moore

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Guardando i film di Moore si ha l’impressione che la montagna (notare la stazza del regista) abbia partorito un topolino. Ovvero: che senso ha attaccare il sistema americano con tanta virulenza per poi finire nell’apologia di Kerry o, peggio, di Wesley Clark, già massacratore del Kossovo? Non sarà che il regista è un cane da guardia vestito da eversore?




Michael Moore è un filmaker e scrittore americano. Osservando il suo aspetto, ci aspetteremmo di vederlo ingozzarsi di hamburgers e patatine in qualche fast-food della provincia americana, col suo incedere corpulento, il perenne berrettino da baseball in testa, l’abbigliamento trasandato e grunge, lo sguardo dolce e vivace di un bambinone cresciuto a telefilm e alimenti iperproteici. Ci aspetteremmo che Moore guidasse un enorme camion attraverso le infinite high ways, oppure che facesse l’operaio in qualche acciaieria nei dintorni di Detroit o Denver. Invece Moore è oggi l’intellettuale e artista americano più conosciuto al mondo, il più scomodo, eversivo, corrosivo, brillante.
Fino a pochissimi anni fa, Moore era praticamente sconosciuto, soprattutto all’estero. Poi, nel 2002 cura la regia di un documentario dal titolo Bowling a Columbine, un ritratto a tinte forti di un’America sull’orlo del disastro. Il successo è travolgente e sfocia nella vittoria di un Oscar cinematografico. Mentre i suoi libri vendono milioni di copie, Moore realizza un secondo documentario, Fahreneit 9/11, che riceve la Palma d’Oro al festival di Cannes e che sta riscuotendo un successo di pubblico senza precedenti per il genere documentaristico (è uscito da poco anche nelle sale italiane).
Lo stile di Moore è in effetti originale ed efficace. Parte da episodi simbolici e altamente drammatici della nostra epoca, usandoli per indagare la realtà della società americana, cercare di capirne le strutture, i meccanismi, gli orrori. È uno sguardo sociologico, investigativo, ma a tratti anche poetico.
In Bowling a Columbine, il punto di partenza è la strage operata in una scuola del Colorado, la Columbine High School, da due adolescenti disadattati, che in un giorno di ordinaria follia si sono recati nella loro scuola armati di tutto punto ed hanno cominciato a fare fuoco su studenti e professori. In Fahreneit 9/11 si parte dalla tragedia dell’11 settembre per mettere sotto la lente di ingrandimento gli uomini e le strutture dell’attuale potere, politico ed economico, americano. Dalla comparazione dei due lavori emergono differenze sostanziali di tono che ci hanno fatto riflettere e che vogliamo sottoporre all’attenzione dei nostri lettori.


Bowling a Columbine è un lavoro pressoché perfetto. Corposo, composto, preciso nell’indagare cause, effetti, contorni di una vicenda drammatica. Dal punto di vista narrativo è esemplare nel miscelare commozione e ironia, immagini e voci reali (riprese di telecamere di sorveglianza e registrazioni di telefonate ai numeri di emergenza) con interviste delle fonti o prese dalla strada. Eccellente, poi, l’uso e il montaggio di spezzoni di telegiornali, immagini di repertorio, vecchi telefilm, sigle di programmi popolari o canzoni, mentre vengono snocciolati, senza mai annoiare, cifre e statistiche.
Il risultato è una testimonianza agghiacciante. Gli Stati Uniti appaiono come il paese più cruento al mondo, in cui la violenza tra i cittadini, a volte ingiustificata come quella alla Columbine, può scoppiare in qualunque moment

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