Nella città dove con lacrime e dolore dilaga la rabbia per quest’ondata di lutti che in parte si poteva evitare, c’è un sindaco rimasto a ripetere che è piovuto tanto, tantissimo, come se davvero l’apocalisse su montagne senza alberi e su torrenti cementificati fosse solo colpa della natura e non una tragedia annunciata. Ed è sotto la montagna sfregiata del borgo di Giampilieri che echeggia il rimprovero a denti stretti del vescovo di Messina, Calogero La Piana, gli occhi carichi di pietà, il tono severo: “Non è colpa della natura.
Qui le responsabilità sono terrene. Adesso è tempo di solidarietà e di soccorso. Ma deve pur essere indicata la vera colpa. A due anni da un altro disastro simile, seppure non luttuoso, ci saremmo aspettati maggiore attenzione”. Già, perché la stessa montagna che campeggia sul convento di Sant’Antonio, dove tre anziane suore rifocillano due pullman di terrorizzati turisti israeliani, franò nell’ottobre del 2007 e il fango scivolò giù sulle fiumare ingessate, verso Scaletta, travolgendo ogni cosa, ma risparmiando vite umane. Una fortuna. Un miracolo. Forse, un monito lanciato agli uomini per arginare la devastazione di spiagge e colline. A modo suo, la politica promise, s’impegnò, stanziò e in pompa magna annunciò una spesa di 11 milioni di euro per il territorio di questa Messina stretta sui fianchi dei Peloritani, fatta a strisce lungo fiumare zeppe di calcestruzzo. La svolta si rivelò però un proclama subito tradito e tradotto in interventi minimi per appena 900 mila euro malamente spesi, come adesso si lamenta uno dei consiglieri dell’Ordine dei geologi, Vincenzo Pinnizzotto, che i vizi della sua città li conosce da vicino: “Spesso accade che i finanziamenti destinati a mettere in sicurezza il territorio finiscano altrove. Esigenze politiche… A ogni emergenza se ne parla un po’ e poi non si fa niente lasciando che acqua e fango dilaghino in modo selvaggio”.
È materia per la Procura di Guido Lo Forte, deciso a indagare sul reato di “disastro colposo”. E tanti mettono le mani avanti. Con il governatore Raffaele Lombardo che annuncia summit e nuovi piani invocando Berlusconi (“Da soli non possiamo farcela”) e il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che irrompe minacciosa quando scopre la brutta fine fatta dai fondi del suo dicastero: “Basta con questo modo irrazionale di distribuire i fondi per il dissesto del territorio. Ora si tratta di mettere fine a questo malgoverno, intervenire rapidamente e richiamare anche i sindaci della provincia di Messina a una più attenta programmazione urbanistica”. Fanno la voce grossa in Procura, ma qualche dubbio viene anche agli ambientalisti qui spesso considerati solo dei rompiscatole.
Battaglia dura, soprattutto dall’agosto del 2007, quando il Comune istituì la cosiddetta “Commissione valutazione di incidenza”, indicata dalla Giordano come un bubbone: “Appena due mesi dopo la costituzione, nonostante le alluvioni dell’ottobre 2007, ha fatto danni a mai finire, oltre ad approvare ovviamente tutto, dalla a alla zeta. E fino a ieri al Comune si accaparravano sul piano triennale delle opere pubbliche, cemento su cemento, asfalto a go-go, con le ruspe che continuano ovunque, senza mai fermare cantieri, lottizzazioni, palazzi, ville, casermoni, strade nuove, centri commerciali a due passi dal mare, sui torrenti… “. Una denuncia accorata, in sintonia con lo studio fatto con la Protezione civile sui 273 comuni siciliani a rischio idrogeologico: “Di questi 91 stanno in provincia di Messina. Abbiamo mandato un questionario. Ma ha risposto il 37 per cento. E di quei pochi il 52 per cento dichiarano di avere interi quartieri in area a rischio…”.
Uno studio riflesso nel disastro che si è presentato davanti a Bertolaso quando per guadagnare la strada del mare fra le sabbie mobili di Scaletta ha dovuto varcare una delle case abbandonate, lungo la schiera che separa la statale Messina Catania, da spiaggia e ferrovia, un muro, anzi una muraglia senza continuità. Ma, violando un soggiorno abbandonato e entrando in un corridoio con i quadretti infangati, s’è accorto di camminare su un mini torrente inglobato in quella casa senza padroni. L’ha capito arrivando all’orto, ricavato a ridosso dei binari della ferrovia. E lui, esplodendo con i suoi, con gli accompagnatori siciliani: “Lo vedete come si lascia costruire a due passi dai binari, tappando i corsi d’acqua, senza che se ne accorga nessuno, a tutti apparendo cosa normale. Da otto anni ripeto le stesse cose…”. Poi gli stivali affondano lungo la spiaggia e marciando in parallelo con la statale si arriva al punto interrotto, un’intera palazzina piegata su se stessa, un convento di suore e un’altra casa spazzate via perché edificate sul letto del torrente che scende giù da Scaletta Superiore. “È l’ora che cambi tutto…” si sfoga infine mentre argina la rabbia di chi scava con le mani per trovare amici e parenti, bloccato al ritorno dal proprietario della casa attigua a quella del corridoio col torrente tappato, un agente di assicurazioni che impreca contro le autorità, ignaro di avere contribuito al disastro, ma fiero di stringere le mani a Bertolaso.”