Non si era mai visto che un vertice dei Paesi del Sudest asiatico venisse cancellato “per motivi di sicurezza” a lavori ancora in corso. E nemmeno che i leader dovessero fuggire a bordo di elicotteri militari. E’ successo questa mattina in un grande albergo sulla costa a 150 chilometri da Bangkok, nella località turistica di Pattaya, celebre per i locali a luci rosse e le “sale massaggi” per uomini. Emuli dell’assedio all’aeroporto internazionale di Bangkok da parte delle “magliette gialle” – contrarie ai governi dei soci e dei parenti dell’ex premier esule Thaksin Shinawatra – una moltitudine di militanti in T shirt rosse e foto dell’ex primo ministro in evidenza hanno colpito un simbolo forse ancora più importante: il meeting che doveva sancire l’alleanza contro la crisi economica tra dieci grandi Paesi dell’Asia. “Hanno voluto umiliare il nostro governo”, ha commentato un portavoce del neo premier del partito Democratico Abhisit Vejjajiva, il grande sconfitto della giornata.
L’assalto al Royal Cliff. I “rossi” – determinati a riportare al potere Thaksin – avevano tenuto sotto assedio per quattro giorni il centro di Bangkok e il palazzo del governo prima di dare l’assalto al Royal Cliff di Pattaya che ospitava i leader stranieri. Oggi fin dalle prime ore del mattino oltre duemila militanti hanno risalito la collina del resort passo dopo passo, blandamente contrastati da truppe di militari e poliziotti assai meno numerosi di loro. A forza hanno spostato i camion della polizia per attaccare alcune decine di giovani schierati dietro agli agenti con delle magliette blù con la scritta “Proteggiamo l’Istituzione”, un chiaro riferimento alla monarchia. Secondo i thaksiniani si trattava di ex “magliette gialle” e paramilitari mandati dal governo.
I leader dei “rossi” hanno attribuito alla loro presenza – e alle voci di incidenti accaduti nella notte – la decisione di raggiungere in massa Pattaya da Bangkok già all’alba, mentre il grosso dei manifestanti restava a tenere d’assedio il palazzo del governo e una buona fetta del centro metropolitano.
Ieri oltre cento tassisti avevano bloccato l’intera area del Victoria Monument, e ovunque risuonava lo slogan del corteo, “Auk pei!”, “Vattene”, rivolto al premier Abhisit. Il drappello di thaksiniani giunto venerdì a disturbare il summit, secondo diverse fonti, era rimasto abbastanza pacifico fino alla comparsa notturna delle “magliette blù”. Ma pochi pensano che l’assalto al vertice Asean fosse stato lasciato al caso. Uno dei capi della rivolta aveva anche dichiarato che quella di sabato sarebbe stata “una giornata decisiva”, e fin dalla prima mattinata le truppe di Thaksin sono accorse a bordo di pullman, auto private e altre centinaia di taxi con l’intenzione di dare man forte ai loro compagni rimasti accampati nella località balneare di solito straripante di turisti. Ognuno dei due gruppi contrapposti era armato di bastoni, fuochi d’artificio, bombe molotov artigianali e negli scontri che hanno preceduto l’assalto alla collina del vertice diverse persone sono rimaste ferite.
Infine un gruppo consistente di seguaci dell’ex premier ha sfondato ogni resistenza e raggiunto un’ala dell’albergo. Qualcuno ha mandato in frantumi i vetri, mentre leader come il primo ministro cinese Wen Jabao e il giapponese Taro Aso, la presidente delle Filippine Arroyo, il premier birmano Thein Sein scappavano alla chetichella senza partecipare agli incontri previsti. Alcuni sono saliti sui tetti dell’hotel, per farsi prelevare dagli elicotteri della sicurezza, altri hanno dovuto attendere che la massa si disperdesse per raggiungere a sirene spiegate l’aeroporto militare.
La lotta per il potere. Il governo ha proclamato lo stato di emergenza in tutta la provincia, revocato a fine giornata, e ha impedito perfino i festeggiamenti del Songkran, una delle ricorrenze più importanti dell’anno, con milioni di persone solitamente in giro per le strade a lanciarsi acqua.
Al vertice erano presenti o attesi anche rappresentanti di istituzioni internazionali, come il presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick, il direttore del Fondo Monetario Dominique Strauss-Kahn, dirigenti dell’Organizzazione mondiale per il commercio, il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
Per tutti l’appuntamento, almeno formalmente, è rinviato di due mesi, sempreché la situazione torni alla normalità. Galvanizzati dal successo di Pattaya, i capipopolo dei rossi, in stretto contatto con il loro leader esule, hanno deciso di tornare a rafforzare infatti la presenza nel centro di Bangkok per non lasciare al governo un attimo di tregua. Fin dove potranno arrivare è ancora difficile dirlo, anche se fonti del governo si sono pubblicamente interrogate sul motivo per cui la polizia non è riuscita a contenere i manifestanti, nonostante la loro presenza fosse stata annunciata nei giorni scorsi. Potrebbe voler dire che la polizia, e forse anche una parte dell’esercito, non sono disposti ad appoggiare l’attuale premier fino in fondo, anche per il timore di scatenare con un intervento armato la violenza delle piazze. “I danni all’economia e al turismo – hanno dichiarato alcuni portavoce filo governativi – sono già talmente gravi che uno stato di perenne allarme ci metterebbe definitivamente in ginocchio”.
Ma la Thailandia è rimpiombata già di fatto nel clima di terrore di una guerra civile che sembrava temporaneamente evitata dopo la fine delle rivolte delle “magliette gialle” (il colore della Casa reale) che occuparono l’aeroporto e portarono alla caduta del governo pro-Thaksin, con l’elezione nello scorso dicembre di un nuovo esecutivo avallato dal Re. Il neopremier dei Democratici Abhisit aveva utilizzato un colpo di mano parlamentare estromettendo gli uomini del clan avversario eletti un anno prima da una larga maggioranza, sfruttando la sentenza di una Corte che aveva dichiarato fuorilegge per brogli elettorali il partito pro-Thaksin.
Il ribaltamento politico fu giustificato dall’indebita interferenza” negli affari interni del politico-tycoon, condannato per corruzione e costretto per la seconda volta all’esilio, prima in Inghilterra, poi a Hong Kong e infine negli Emirati arabi.
La forza dell’ex premier. La pausa di questi pochi mesi è servita a Thaksin per mettere a punto la sua strategia di vendetta, con alcune comparse in collegamento satellitare nelle piazze dove si raccoglievano i suoi fan davanti ai grandi schermi che proiettavano i suoi infuocati appelli alla rivolta. “Smettetela di andare nei grandi magazzini e partecipate alle proteste”, li aveva incitati dall’esilio. Le voci di un suo indebolimento, anche dovuto al sequestro di miliardi di thai baht dai suoi conti correnti, sono state clamorosamente smentite dalla grande partecipazione popolare alle manifestazioni di questi giorni, tutte organizzate a spese del tycoon.
In gran parte i sostenitori di Thaksin vengono dal Nord est del Paese, dove l’ex leader del Thai Rak Thai, (i thai amano i thai) gode ancora di grande popolarità per le sue politiche populiste di distribuzione di finanziamenti e aiuti economici ai villaggi. “Il rosso è il colore della terra”, recita uno degli slogan dei suoi seguaci, in gran parte contadini, impiegati, professionisti, casalinghe e tassisti, tutti decisi a far cadere il governo dei Democratici utilizzando gli stessi metodi dei loro nemici.
La paura è che ora la protesta possa trasformarsi in un bagno di sangue, specialmente se le “magliette gialle” e quelle “blù” decideranno – come hanno annunciato – di tornare a loro volta in piazza per impedire il ritorno del vecchio nemico e dei suoi alleati in “rosso”. Sarebbe un colpo mortale per il Paese dei Sorrisi, che ha già visto crollare le prenotazioni turistiche e cancellare decine di voli.