mercoledì 8 Maggio 2024

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L’Extremely Large Telescope, in costruzione nel deserto cileno, è uno strumento senza precedenti che farà compiere all’astronomia un balzo paragonabile a quello realizzato dal cannocchiale di Galileo. Abbiamo parlato con il Programme Manager del progetto, Roberto Tamai, di una nuova rivoluzione scientifica che vede, ancora una volta, l’Italia in prima linea.
Finalmente l’umanità sarà in grado di scrutare quegli esopianeti la cui presenza è finora stata individuata solo in modo indiretto, di capire gli elementi che ne compongono l’atmosfera e scoprire, quindi, se presentano condizioni compatibili con la vita. Con una capacità di definizione dalle 10 alle 15 volte superiore al telescopio Hubble, l’Elt spalancherà nuove strabilianti frontiere nell’ignoto e, potenzialmente, segnerà il primo passo verso la ricerca della vita oltre il Sistema Solare.

Una nuova rivoluzione scientifica che vede ancora una volta il nostro Paese in prima linea. Italiani sono i consorzi che si occuperanno della costruzione dei vetri dello specchio e del colossale “duomo”, la struttura che accoglierà e proteggerà il telescopio. E italiano è il progettista capo, Roberto Tamai, che abbiamo intervistato a margine di una sua conferenza al Palazzo delle Esposizioni, nell’ambito delle iniziative connesse alla mostra “Macchine del Tempo” organizzata dall’Istituto Nazionale di Astrofisica.
Francesco Russo/ AGI – Roberto Tamai durante la conferenza
Il più grande telescopio mai costruito in origine avrebbe dovuto essere ancora più grande. Come si è passati dall’Overwhelmingly LargeTelescope all’Extremely Large Telescope?
“L’Overwhelmingly Large Telescope era rischioso, in particolare per via dello specchio secondario, che aveva dimensioni un po’ difficili da costruire, sarebbe stato un solo specchio di una forma molto convessa e sferica che avrebbe causato notevoli rischi nella fase di costruzione, quindi si è pensato di ridurne le dimensioni e dall’Overwhelmingly siamo passati all’Extremely Large Telescope, dai 100 metri di diametro dello specchio principale, quello che raccoglie i fotoni, la luce, siamo arrivatinagli attuali 39,2 metri di diametro”.
Dimensioni che rendono comunque l’ELT un progetto senza precedenti…
“Sì, oggi se vogliamo ci sono due competitor, dal diametro rispettivo di 30 e 25 metri, entrambi nordamericani. Quello di 30 metri si chiamaThirty Meter Telescope (Tmt) e dovrebbe essere costruito alle Hawaii, dove però stanno avendo problemi con i nativi per l’utilizzo della montagna. Ora stanno cercando di giungere a un accordo con gli indigeni e tutti quanti speriamo che lo facciano quanto prima. Poi c’è il Giant Magellan Telescope (Gmt) di 25 metri, che ha una logica diversa da
quella dell’Elt e del Tmt, invece molto simili, con uno specchio segmentato, fatto di tanti esagoni messi insieme a formare l’ottica
principale. Invece il GMT è composto da sette specchi grandi quanto quelli dell’attuale osservatorio di Paranal della European Southern Observatory (Eso), dove si trova il Very Large Telescope. Sono sette specchi che raccolgono la luce in modo indipendente l’uno dall’altro e la mandano allo stesso fuoco, qualcosa di molto simile a quanto già facciamo noi al Paranal, con quattro telescopi diversi del diametro di 8 metri in grado di raccogliere la luce dalla stessa stella e mandarla nello stesso fuoco”.

In che modo l’Elt cambierà la storia dell’osservazione spaziale?
“Non sono un astronomo, sono un ingegnere meccanico, ma vedo il potenziale dell’Elt simile a quello che ebbe Galileo quando puntò il suo telescopio al cielo perché il salto nella quantità di acquisizione della luce è paragonabile a quello dall’occhio nudo al telescopio di 4 centimetri di Galileo Galilei. Il primo obiettivo scientifico è fotografare gli esopianeti, che oggi individuiamo con tecniche indirette. Analizzeremo l’atmosfera di un esopianeta, cioè faremo la spettroscopia della sua atmosfera.
Tramite la luce che attraverserà l’atmosfera di questo pianeta noi potremo sapere se contiene clorofilla, o se contiene degli inquinanti o se contiene ossigeno e acqua e quindi sapere se l’atmosfera di un esopianeta è tale da poter consentire la vita come la conosciamo ora. E poi c’è quello che oggi è l’inimmaginabile, perché ogni volta chenl’umanità ha avuto un oggetto che andava oltre quello che si aveva sino a quel momento ha aperto nuove domande, nuovi orizzonti. Dobbiamodavvero esser pronti a sorprese che oggi non immaginiamo, apriremo finestre su territori sconosciuti sui quali oggi non siamo in grado nemmeno di porci domande”.

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