La situazione.
Dopo aver raggiunto il massimo storico a 2.867 miliardi di euro lo scorso ottobre, il debito pubblico italiano è calato di 12,6 miliardi di euro a novembre 2023, a quota 2.855 miliardi. Secondo quanto riportato nella pubblicazione di Bankitalia dal titolo “Finanza pubblica: fabbisogno e debito“, questa contrazione è attribuibile alla diminuzione pari a 12,9 miliardi delle risorse liquide del Tesoro, che hanno raggiunto i 39,6 miliardi, e a un modesto avanzo di cassa delle amministrazioni pubbliche, valutato in 0,8 miliardi.
In senso opposto i dati riflettono l’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio, per un totale di 1,1 miliardi.
Questi dati posizionano il Belpaese in cima alla classifica delle principali economie europee per livello di indebitamento. Infatti, secondo il report “Il debito pubblico in Italia: analisi e prospettive” della Rome Business School (RBS), il debito pubblico dell’Italia stimato per il 2023 è, in rapporto al PIL, pari al 139,8%, molto più elevato rispetto a quello di Francia (109,6%), Spagna (107,5%) e Germania (64,8%). Tra l’altro, RBS ha stimato che il rapporto debito pubblico/PIL italiano salirà al 140,6% nel 2024 fino a raggiungere il 140,9% nel 2025. Secondo i tre docenti economisti della RBS che hanno curato la ricerca (Francesco Baldi, Massimiliano Parco e Valerio Mancini), i maggiori detentori di debito pubblico italiano rimarranno le istituzioni finanziarie e il resto del mondo (a settembre 2023, su un debito lordo totale di 2.844 miliardi di euro, le detenzioni dei non residenti erano 763 miliardi, pari al 26,8%), ma continuerà ad aumentare la quota detenuta da “famiglie e istituzioni no profit”.
Per i criteri di Maastricht, il rapporto tra debito pubblico lordo e PIL non deve superare il 60% o almeno dare segnali di riduzione, ma la previsione della Commissione Europea stima la media nell’area euro a chiusura del 2023 al 90,4%.
Uno degli aspetti più preoccupanti, che spesso viene sottovalutato, del fatto di avere un livello di indebitamento così elevato, è il costo del debito. Questo diventa ancor più oneroso per via degli alti tassi di interesse che vengono pagati dal debito pubblico italiano, che fanno gola ai mercati. Il costo medio all’emissione dei titoli di Stato italiani è passato infatti dallo 0,1% del 2021 all’1,71% del 2022 e al 3,76% del 2023, superando così anche il 3,61% a cui era schizzato al culmine della crisi del debito che era stata registrata nel 2011. Fortunatamente siamo davvero lontani dal livello di dipendenza dagli investitori esteri che aveva caratterizzato il primo decennio di questo secolo, culminata nell’ottobre del 2009 con la detenzione di 777 miliardi di euro in titoli pubblici italiani, quando la detenzione dei non residenti arrivò alla percentuale più alta mai registrata: 41,3%.
Ma la fiducia (e i debiti) vanno ripagati prima o poi. Sulla base della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) presentata dal governo a settembre scorso, il peso degli interessi passivi sul debito pubblico italiano passerà dal 3,8% del PIL del 2023 al 4,2% di quest’anno, al 4,3% del 2025 per arrivare al 4,6% nel 2026. A legislazione vigente, si tratta di 78 miliardi di euro nel 2023, di 89 miliardi quest’anno, di 94 miliardi nel 2025 e di 104 miliardi nel 2026: in totale sono 280 miliardi di euro tondi tondi. Ipotizzando che i non residenti detengano una quota del 25% di tutte le emissioni del debito pubblico, in quattro anni il pagamento per interessi a loro favore ammonterebbe a oltre 91 miliardi di euro, un po’ meno della metà dei 222 miliardi di investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La fiducia degli investitori esteri ci onora sempre, ma costa davvero cara.
Il report della Rome Business School approfondisce anche la distribuzione del debito pubblico italiano a livello geografico e la sua composizione per strumenti finanziari.
Debito pubblico italiano: distribuzione a livello geografico
Geograficamente, elaborando i dati della Banca d’Italia, gli autori hanno osservato un discreto grado di eterogeneità tra le Amministrazioni regionali italiane nel 2022. Il Lazio è individuato quale maglia nera d’Italia, con una consistenza del debito pubblico lordo pari a 28,3 miliardi di euro (il 24,3% del debito pubblico delle Amministrazioni regionali). Elevati livelli di indebitamento si registrano anche in Campania con 15,6 miliardi di euro (il 13,4% dell’aggregato delle regioni) e in Sicilia, Lombardia e Piemonte dove il livello di debito è poco superiore ai 10 miliardi. Le regioni che al contrario si caratterizzano per esigui livelli di indebitamento sono la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata con un debito pubblico lordo complessivo inferiore ad 1 miliardo di euro.
Tale configurazione è il risultato di una dinamica poco omogenea verificatasi negli ultimi 25 anni. Dal 1998 al 2022, diverse regioni hanno registrato un progressivo indebitamento. Di particolare rilievo l’aumento cumulato registrato dalla Campania (+347%, tra il 1998 e il 2022), dal Lazio (+270%), dalla Calabria (+241%) e dalla Sicilia (+185%). Di contro, regioni come il Friuli-Venezia Giulia (-16%), l’Emilia-Romagna (-19%) e la Sardegna (-39%) hanno registrato riduzioni del debito a doppia cifra, quale conseguenza di un risanamento dei conti pubblici regionali. “In uno scenario di maggior indebitamento a livello regionale, spicca il risanamento dei conti pubblici operato da Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Sardegna, in virtù di scelte di spesa a favore di una maggior sostenibilità del debito”, afferma Massimiliano Parco.
Composizione per strumenti finanziari
Quanto invece alla composizione per strumenti finanziari, i dati della Banca d’Italia evidenziano ad agosto 2023 una netta concentrazione di titoli di debito a medio-lungo termine, pari al 79,3%. Rispetto a gennaio 2002, l’incremento dei titoli a medio-lungo termine è stato superiore a 7 punti percentuali (72,4% a gennaio 2002). Invece, l’esposizione su titoli a breve termine si è ridotta passando dall’8,5% di gennaio 2002 al 4,3% di agosto 2023. Le monete e i depositi bancari pesano per il 7% ad agosto 2023, in calo di 6,5 punti percentuali rispetto a gennaio 2002. Aumenta, di contro, il peso dei prestiti di banche e fondi che passa dal 4,6% al 5,2%, e l’incidenza dei prestiti con le Istituzioni europee è pari al 2,3%. “Negli ultimi 20 anni la strategia del Tesoro italiano è stata quella di spostare le emissioni di debito dal breve al medio-lungo termine, aumentando di due anni la sua vita media residua, oggi pari a 7,7 anni”, spiega Francesco Baldi.
Le prospettive future del debito pubblico per l’Italia
Infine, quanto alle prospettive future del debito pubblico per l’Italia, le previsioni della NADEF 2023 stimano un ritorno nel 2025 ad un avanzo primario, seppur limitato (+0,7% avanzo primario in percentuale del PIL). Secondo i ricercatori della RBS, ciò dovrebbe favorire un rallentamento della crescita del rapporto debito pubblico/PIL. La componente residuale relativa agli aggiustamenti tra le consistenze e i flussi è invece stimata contribuire in maniera sfavorevole per il triennio 2023-2025.
“La crescita economica, accompagnata da un’inflazione controllata, rappresenta il miglior mezzo per contrastare un debito elevato, a condizione che questa crescita non porti ad un aumento incontrollato delle spese pubbliche, generando bilanci fortemente passivi”, commenta Valerio Mancini, che continua: “le possibili soluzioni a questa sfida comprendono diverse strategie, che devono necessariamente basarsi su due pilastri: riforme strutturali, per ridurre la spesa pubblica e controllare il deficit; e la gestione dell’inflazione. Nei prossimi anni, si prevede un aumento dell’indebitamento netto e una crescita economica graduale, accompagnati da obiettivi di riduzione del deficit e del debito pubblico. E che la disparità Nord/Sud, con regioni settentrionali che hanno un debito/PIL inferiore rispetto al Mezzogiorno, vivrà ulteriori tensioni”.