martedì 5 Novembre 2024

Sette contro le sette

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Il giudice Sette condanna per estorsione un dirigente di Scientology. Un giovane si era ucciso nel 1997 perché non poteva più pagare l’organizzazione religiosa.

Non aveva ancora vent’anni, ma da mesi viveva nell’incubo dei debiti, costretto a versare decine di milioni a un dirigente della Missione Scientology. Preso dalla disperazione si gettò dalla finestra. Suicidio. Così fu classificata la tragedia, in un primo momento. Ma il caso in seguito fu riaperto sfociando in un’inchiesta e nel processo contro un socio e ora ex dirigente di Scientology: ieri Giorgio Carta, 41 anni, è stato riconosciuto responsabile di estorsione ai danni del cugino Roberto Deplano, il ragazzo suicidatosi il 18 febbraio del 1997. E per questo dovrà scontare quattro anni e sei mesi di carcere. Così ha deciso ieri il Tribunale presieduto dal giudice Sette ponendo fine a una vicenda giudiziaria cominciata sette anni fa. Un caso che aveva suscitato grande scalpore. I giudici hanno deciso per una pena più pesante rispetto a quella ipotizzata dal pubblico ministero, che aveva chiesto una condanna a quattro anni. La vicenda risale al 1997. Il 18 febbraio di quell’anno Roberto Deplano, uno studente di 19 anni, si suicidò lanciandosi dalla finestra della sua camera al sesto piano di un palazzo di via Castiglione. Un volo di venti di metri rivelatosi fatale. Gli investigatori chiusero il caso classificandolo come semplice suicidio e l’indagine venne archiviata. Ma i genitori sapevano che sotto c’era qualcos’altro. Qualcosa che negli ultimi tempi aveva reso ansioso e preoccupato il figlio. Suo padre, Antonino, andò dall’avvocato Mario Canessa e gli disse che Roberto si era iscritto a Scientology (un movimento religioso fondato nel 1954 negli Stati Uniti e che stava prendendo piede anche in città). Dopo un primo periodo felice, raccontò il padre, Roberto si incupì e rivelò di essere pressato con continue richieste di denaro da parte di Giorgio Carta, proprietario di un bar in piazza Giovanni XXIII e all’epoca uno dei dirigenti della sede cagliaritana di Scientology. Fu proprio lui a convincere Roberto a iscriversi alla Missione. Si parlava di decine di milioni che Roberto aveva già consegnato. Ma la sua generosità pare non bastasse mai. La versione fu confermata anche dagli amici e dalla madre del ragazzo: «Roberto non ne poteva più – disse – voleva uscire da quella setta ma non ci riusciva. Era cambiato, aveva smesso di studiare, non suonava più. Mi disse che gli avevano fatto il lavaggio del cervello, che gli chiedevano molti soldi. Che lo minacciavano di rivelare le confidenze che aveva fatto durante le riunioni con gli altri iscritti. Era terrorizzato, mi aveva perfino chiuso in casa perché temeva che mi ammazzassero. Io e mio marito avevamo deciso di lasciare Cagliari: il giorno dopo Roberto si è tolto la vita, pensando così di salvare noi». Nel settembre del ’98, su denuncia dell’avvocato, il pm Guido Pani riaprì le indagini. Ci furono intercettazioni telefoniche, perquisizioni, sequestro di documenti. Alla fine Giorgio Carta fu rinviato a giudizio con l’accusa di estorsione in concorso con ignoti «perché mediante minacce costringeva ripetutamente Roberto Deplano a consegnargli varie somme di denaro in contanti per un ammontare complessivo di circa cento milioni di lire». Carta ha sempre respinto tutte le accuse. Gli avvocati difensori Guido Manca Bitti e Luigi Concas si sono detti «sorpresi dalla sentenza. Restiamo convinti dell’innocenza di Giorgio Carta. Ci sono state lacune nelle indagini che avrebbero potuto cambiare le carte in t

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