lunedì 2 Dicembre 2024

Strategia della tensione: il ritorno

In Francia, ma non solo

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Romans-sur-Isère botta e risposta. Ma c’è anche Dublino. E prima ci sono l’attentato a Madrid contro un fondatore di Vox e gli scontri di Rotterdam.
La strategia della tensione si muove secondo degli schemi molto precisi.
Il paradigma è quello italiano degli anni 60-80 che funziona come segue.
Per prima cosa si permette agli ambienti sediziosi di eccitarsi impuniti, senza intervenire per spegnere il focolaio. Ciò accadde in Italia per gli ambienti insurrezionalisti dell’estrema sinistra, e ciò accade oggi per gli ambienti jihadisti in tutta Europa.
Per molto tempo, quando questi passano all’atto, non si identificano i colpevoli. Se proprio non è possibile non arrestarli, li si libera dalla prigione al più presto.
Si fa sempre in modo che la Magistratura che si occupa di loro sia molto clemente. Questo li convince di essere impuniti.
I terroristi sono sempre minoritari, anche presso la propria gente. Affinché la strategia della tensione riesca, e quindi, essi trovino attorno a loro il sostegno e i ricambi necessari, si deve creare uno “stato di minaccia” e per questo viene montato uno spaventapasseri.
Nel 1970, in Italia, esso fu il tentato golpe Borghese, un colpo di stato impossibile da attuarsi e che vide gli stessi protagonisti rinunciare all’ultimo minuto, ma permise alla banda Feltrinelli di radunare gente preoccupata e dare così vita al terrorismo rosso.
In Francia la “minaccia” per le banlieues è stata il fenomeno Zemmour, montato ad arte, a cui, oltre a finanziamenti incomprensibili è stata data una pubblicità smisurata.

Concesse in questo modo una giustificazione e una ragione di mobilitazione alla parte terrorista, si passa alla fase dell’armamento. L’estrema sinistra italiana fu armata ad opera di tanti soggetti diversi, così è per le banlieues. L’armamento non è mai stato contrastato perché il disordine interno favorisce la tenuta delle oligarchie in ogni nazione e fa parte di giochi internazionali di potenza.
Dal riarmo si passa alla spettacolarizzazione che produce imitazioni. Crépol, il 18 novembre, è chiaramente un’imitazione della macelleria del 7 ottobre al rave party israeliano.
“Uccidere un francese non è reato” si sostituisce a “uccidere un fascista non è reato”, perché è impossibile che non siano stati identificati né arrestati gli assassini del sedicenne Thomas, giunti a Crépol dal quartiere de la Monnaie di Romans-sur-Isère, urlando slogan jihadisti e “morte ai bianchi!”.
La minaccia costruita a tavolino ha funzionato perché dei giovani coraggiosi si sono radunati per dare una lezione agli assassini ma sono stati brutalmente malmenati dalla polizia per finire poi nei guai con la giustizia, cosa che ai killers jihadisti non accade spesso, e anche in questo caso si nota come con gli assassini di Crépol si usi il guanto di velluto e come si sia minimizzato il rapimento, il denudamento e la tortura di un ragazzo alla Monnaie da parte della banda. A casi invertiti sarebbero stati tutti catturati in poche ore e avrebbero subito per direttissima condanne intorno ai venti anni di carcere.

Siamo ancora negli schemi della strategia della tensione perché i terroristi devono crescere fino a quando sembrerà utile e chi si oppone ad essi non deve avere libertà di movimento in quanto, a causa sua, si potrebbe verificare un fenomeno d’imitazione di massa che rischierebbe di chiudere i giochi.
È una spirale che può diventare disastrosa. I due contendenti non godono delle stesse garanzie giuridiche perché ai terroristi, fin quando fanno comodo, è permesso tutto, mentre chi difende la sua nazione viene brutalmente discriminato. Ma alla lunga tutti pagheranno carissimo; tutti meno i burattinai.
Quello che non si deve assolutamente fare in questa situazione è perdere la calma. Non è possibile risolvere tutto con uno scontro campale su un terreno minato. È necessario mantenere i nervi saldi, assumere una lucidità politica, una capacità mediatica e praticare una tessitura di rapporti che consentano di spezzare la spirale e di uscire dalla scelta obbligata tra la repressione e la resa.
Non si tratta per nulla di gettare la spugna, ma di riflettere e di non farsi prendere alla sprovvista come sempre. Perché finora è un déjà vu.

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