giovedì 12 Dicembre 2024

Sull’enfatizzazione elettorale

La scaramuccia assurda sulle presidenziali russe

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Abbiamo anche avuto diritto a scaramucce in nome della “democrazia”!
Dopo la rielezione di Putin scambio di accuse tra occidentalisti e russofili.

I putinisti hanno brindato alla schiacciante vittoria di un candidato che correva praticamente da solo, gli altri si sono scandalizzati per la farsa messa in scena in quella che ritengono una dittatura.

L’argomento di contesa è stato il risultato plebiscitario incassato dal presidente russo (87%) con una grande partecipazione al voto (67%).

Per i filorussi questo dimostrerebbe che lì esistono la democrazia, la partecipazione e l’entusiasmo.

Gli altri segnalano che non sono stati ammessi candidati che non fossero degli sparring partner avallati da Putin e che gli oppositori stanno in prigione, in esilio o sotto terra. Aggiungono che le elezioni non erano libere ma sorvegliate e che non ci sono comprove della veridicità delle cifre comunicate.

Una gazzarra senza senso perché hanno entrambi ragione ma nessuno guarda la cosa nel suo insieme.

INIZIAMO DAI BROGLI

Per i russofili tutto è stato regolare, per gli occidentalisti tutto è stato truccato.

Che il Cremlino abbia potuto comunicare le cifre che gli è piaciuto e parso è evidente. Per quanto ne sappiamo può benissimo aver votato il 30% della popolazione anche se ne è stato annunciato il 67%.

Che chi ha votato abbia votato per Putin era comunque scontato per la mancanza di alternative.

Poiché la tecnica d’impedire agli sfidanti di presentarsi non è nuova, ricordiamoci che queste elezioni vanno così non da oggi ma da 24 anni (compresi gli intermezzi costituzionali del prestanome Medvedev).

Molto plausibile che le cifre siano state però gonfiate e stravolte. Conosco gente che, per russofilia militante, è stata presente come osservatrice alle presidenziali precedenti e mi ha raccontato che le cifre erano fantasiose. Per esempio nelle case di riposo il voto pro Putin scrutinato era di un grottesco 100% ma il numero di votanti era di molto superiore agli abitanti e al personale.

La solita mania di marca bolscevica di dare l’immagine dell’unanimità.

IL BUE E L’ASINO

Non ho alcun dubbio sul fatto che in Russia ci siano stati brogli e minacce. Ma da che pulpito viene la predica?

Alcune reminiscenze personali.

Francia 2002, secondo turno delle presidenziali: un provvidenziale “errore” della tipografia di Stato fece sì che le schede con stampato il nome di Chirac e quelle con il nome di Le Pen avessero sfumature di colore diverse, visibili a occhio nudo. Votare per Le Pen significava così farlo senza anonimato, alla luce del sole, mettendosi a rischio fisico, professionale, fiscale.

Sempre Francia, 2007, primo turno delle presidenziali. A Sarkozy con la sua campagna securitaria riuscì di conquistare il voto di buona parte dell’elettorato lepenista. Proprio quell’anno venne introdotto lo scrutinio informatico ma non in tutti i collegi. Egli catturò lì stranamente il doppio di percentuale di elettori del Front National rispetto a quelli con scrutinio classico.

Italia 2005, elezioni regionali in Lazio e Lombardia, cioè le uniche in cui sono stato coinvolto a sostegno di candidati amici. In ognuna delle sezioni elettorali in cui avevamo un rappresentante di lista, i risultati registrati dagli scrutatori non corrisposero a quelli forniti il giorno dopo dal ministero dell’interno. Non solo quelli del nostro candidato, ma di nessuno. Secondo un rapido calcolo direi che almeno il dieci per cento del risultato finale, probabilmente il quindici, è regolarmente truccato a danni dei piccoli ed “equamente” distribuito a favore dei grossi.

Italia 2006, vittoria di Prodi su Berlusconi di poche decine di migliaia di voti, ovvero di un nonnulla. Furono rinvenute numerose schede con voti per Berlusconi gettate nella spazzatura: il broglio fu evidentissimo ma non venne mai ricalcolato il voto. Parlando con uno stagista che aveva partecipato allo spoglio al ministero mi disse che lo scarto reale sarebbe stato stimato a favore di Berlusconi di circa un milione di voti. Ma in quel caso il broglio fu davvero decisivo: Berlusconi era entrato in rotta di collisione con troppi interessi economici ed energetici e qui aveva contro l’intero sottopotere comunista e della sinistra democristiana, cioè quello che ha sempre truccato di molto il piatto della bilancia nelle regioni rosse.

Se c’è compattezza di regime il broglio è molto più massiccio rispetto a quando c’è conflitto tra parti equamente potenti. Nella differenza tra qui e la Russia si tratta di questo e non di trasparenza o di onestà.

Certamente esistono dei livelli diversi di sfacciataggine, di bullaggine, di sofisticazione nel broglio: ma esso è parte determinante e inalienabile della democrazia elettorale, qualunque sia la forma che assume.

Ragion per cui il dibattito sulle elezioni russe ha poco senso.
Sono false, truccate e anche credibili al tempo stesso e comunque non incidono sulla realtà.

Gli elementi su cui si dovrebbe ragionare sono altri.

Ad esempio: come si poteva pensare che i russi non votassero per Putin?

Quando si trova in guerra, ogni popolo vota sempre per il proprio capo di governo e si schiera dietro il suo capo di Stato. Il contrario sarebbe davvero strano. Si pensi alla popolarità di cui godé in Inghilterra Churchill, perdendola però subito dopo, o alla quasi dittatura che fu concessa a Roosevelt negli Usa durante la Seconda Guerra Mondiale. Probabilmente cotanta popolarità valse allora anche per Stalin in Russia.

Quando in Italia il re fece arrestare Mussolini nessun fascista insorse: questo accadde sei settimane dopo quando invece di guidare la nazione in guerra, Vittorio Emanuele capitolò.

Solo degli sprovveduti potevano credere che Putin sarebbe stato rovesciato dal suo popolo in guerra. Ma questo consenso da situazione di emergenza non ha alcun’attinenza con la causa né la nobilita.

Non è che le popolarità di Churchill, Roosevelt e Stalin abbiano nobilitato la guerra imperialistica delle plutodemocrazie, lo ha fatto solo la propaganda ininterrotta dei vincitori. L’opinione pubblica americana non ha di certo battuto ciglio per il genocidio dei pellerossa o per le atomiche sul Giappone ma questo non rende accettabili quei crimini contro l’umanità.

Il difetto sta a monte, sia per chi sperava in una bocciatura di Putin sia per chi gongola per il suo successo: tale difetto è la superstizione della democrazia idealizzata senza ragione mentre le masse si muovono su stimoli psicologici indotti dalle situazioni e dai condizionamenti e non decidono di fatto nulla.

Invece di disquisire sulle elezioni russe sarebbe meglio interrogarsi sul pluralismo che lì non si manifesta in sfide elettorali ma avviene dietro le quinte e in modo cruento.

Quella contesa ha prodotto in due anni oltre venti morti più o meno eccellenti che hanno coinvolto alti ufficiali, oligarchi, giornalisti, tutti vittime di incidenti o di attentati attribuiti fantasiosamente agli ucraìni, che non ne si vede che interesse vi avrebbero avuto, o a fantomatici eserciti clandestini russi.
L’errore che si commette in Occidente è credere che Putin sia l’onnipotente locale. Egli è sicuramente un uomo potente, ma soprattutto è un grande mediatore, un vero e proprio padrino corleonese, in grado di garantire la coesione interna nello scontro tra bande. Prodotto di un apparato, sospinto da Eltsin e da Primakov, uomo dei servizi sovietici e, quindi, delle mafie di potere, è il collante russo.

Lo hanno spiegato gli stessi americani quando si sono schierati apertamente con lui al tempo della rivolta di Prigozhin.

Non esiste una linea-Putin: ce ne sono state svariate negli anni. Anche gli orientamenti che si contrastano oggi tra loro fanno tutti capo al Cremlino. Dal filocinese di Karaganov, al filoeuropeo di Kortunov, passando per quello più neutro di Bordachev.

Dal 2000 ad oggi la Russia ha più volte cambiato politica e alleanze, ma sempre sotto la copertura del padrino-mediatore Putin.

La domanda che ci dovremmo quindi porre è quale Putin avremo nei prossimi anni. Ovvero se la Russia continuerà a farsi attrarre dalla Cina o se cambierà nuovamente orientamento, e non saranno certo le urne a rivelarcelo.

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